REGGIO CALABRIA – L’operazione della Polizia e della Guardia di finanza ha interessato diverse regioni italiane contro presunti appartenenti alla cosca Molè, storica famiglia di ‘ndrangheta. Oltre cento le misure cautelari, chieste da tre procure distrettuali antimafia, quelle di Milano, Firenze e Reggio Calabria. Al centro dell’indagine la cosca della Piana di Gioia Tauro, le sue ramificazioni in Lombardia e Toscana e le proiezioni all’estero.
Nel corso delle indagini inoltre è stata sequestrata anche una tonnellata di cocaina proveniente dal Sudamerica. Numerosi i reati contestati agli indagati. Sono, a vario titolo, associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, detenzione e porto illegale di armi, autoriciclaggio, associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, produzione, traffico e cessione di sostanze stupefacenti, usura, bancarotta fraudolenta, frode fiscale e corruzione.
I dettagli
Sono trentasei le misure cautelari, 31 delle quali in carcere, eseguite dalla Squadra mobile di Reggio Calabria e, in carcere sono finiti capi e gregari della cosca. Nell’ambito della maxi-operazione antidroga sono in corso anche sequestri preventivi di aziende, beni immobili, terreni e rapporti finanziari. C’è anche una azienda del Comasco che opera nel settore logistico tra i beni, per un valore complessivo di due milioni e duecentomila euro, sequestrati in Lombardia. Sono un centinaio le misure cautelari in totale di cui 54 fermi.
La presenza della ‘ndrangheta tra Como e Varese da 15 anni
La complessa attività di indagine ha consentito di ricostruire la storia di circa 15 anni di presenza della ‘ndrangheta nel territorio a cavallo tra le province di Como e Varese, evidenziandone la vocazione sempre più imprenditoriale e svelandone le modalità di mimetizzazione e compenetrazione con il tessuto economico-legale. Si tratta di persone di origine calabrese provenienti dalla piana di Gioia Tauro, presunti appartenenti alla cosca Molè, che, avvalendosi della forza di intimidazione e della condizione di assoggettamento e omertà hanno compiuto una serie di crimini, estorsione, usura, bancarotta fraudolenta, frode fiscale e corruzione, costringendo gli imprenditori lombardi al pagamento di ingenti somme di denaro per poi acquisire la totale gestione e controllo di attività economiche.
In particolare, l’indagine ha consentito di fotografare tre periodi storici, caratterizzati da altrettante modalità di assoggettamento del territorio:
• periodo 2007/2010, caratterizzato da numerosi episodi di estorsione in danno di imprenditori locali;
• periodo 2010/2019 in cui, alle estorsioni, si è aggiunto il controllo e la gestione economica di appalti assai remunerativi relativi al servizio di pulizia di grandi imprese ottenuti dall’organizzazione grazie alla “collusione” di un imprenditore che si presentava quale “faccia pulita”, titolare formale di cooperative operanti nel settore, cooperative con le quali veniva ideato ed attuato un articolato sistema di frode finalizzato all’evasione fiscale attraverso cui veniva finanziata l’associazione di stampo mafioso;
• periodo 2018 sino ad oggi in cui, disarticolato in parte il sistema di frode fiscale di cui al periodo precedente in seguito ad alcuni arresti, sono ripresi, su larga scala, gli episodi di estorsione in danno di piccoli e medi imprenditori e, anche, di semplici cittadini.
Molteplici sono stati i settori in cui vi sono indizi gravi che gli indagati siano riusciti ad estendere il loro controllo, dal settore del trasporto conto terzi alla ristorazione e ai servizi di pulizia e facchinaggio, caratterizzandone ognuno con il marchio dell’acquisizione illegale e/o della gestione illegale, in spregio di ogni norma a tutela degli interessi dello Stato, dei cittadini e degli altri imprenditori.
Il caso del ristorante milanese
Emblematico il caso di un noto ristorante milanese situato in un punto panoramico cittadino, gestito da una società riconducibile agli indagati che, dopo aver drenato notevoli risorse finanziarie illecite dagli indagati e verso gli indagati, accumulando, però, ingenti debiti nei confronti dell’erario, è stata dichiarata fallita per aver sistematicamente omesso il versamento delle imposte. Agli indagati viene, altresì, contestato, in via indiziaria, l’utilizzo di modalità estorsive, di violenze e di fatti di illecita concorrenza che avrebbero consentito di gestire i subappalti di una nota e storica società lombarda operante nel settore della produzione di bevande e connessa logistica.
Le commesse di trasporto così illecitamente acquisite venivano poi spartite tra i vari affiliati consentendo a tutti lauti guadagni accresciuti, altresì, dal ricorso sistematico a false fatturazioni. Accanto a questa ‘ndrangheta 2.0 Società Per Affari, mai abbandonato appare anche l’interesse per il traffico di stupefacenti, nell’ambito del quale sono chiaramente emerse le mire espansionistiche verso la Svizzera e, in particolare, verso il Cantone San Gallo divenuto una vera e propria base logistica per alcuni dei soggetti indagati che vi si sono stabilmente insediati, dedicandosi prevalentemente ai traffici di sostanza stupefacente proveniente dall’Italia, provvedendo, nel contempo, a radicarsi e ramificarsi allo scopo di costituire in loco nuove strutture territoriali di ‘ndrangheta.