Incendio baraccopoli, al via ricollocamenti per 40 immigrati

Fonti del Viminale fanno sapere che in passato erano disponibili 133 posti ma solo 8 immigrati accettarono

 

SAN FERDINANDO (RC) – Nessun rallentamento dopo la morte di un senegalese nell’incendio di questa notte nella baraccopoli di San Ferdinando. Fonti del Viminale fanno sapere che già dalle prossime ore partirà il piano messo a punto nelle ultime settimane: il primo passo prevede lo spostamento di 40 immigrati regolari in strutture d’accoglienza regionali. Già in passato erano stati messi a disposizione 133 posti in progetti Sprar, ma -si apprende da fonti del Viminale- solo 8 immigrati avevano accettato la soluzione.

Medici diritti umani: non è fatalità

“E’ una lenta strage quella che si consuma nella Piana di Gioia Tauro, non frutto della fatalità, ma della endemica e gravissima assenza delle istituzioni in un territorio in cui ogni anno affluiscono oltre duemila lavoratori migranti per la raccolta degli agrumi, obbligati a vivere e lavorare in condizioni disumane”. Lo afferma il team di Medici per i diritti umani (Medu), secondo il quale “le pessime condizioni igienico-sanitarie e strutturali in cui versa la baraccopoli di San Ferdinando sono note da anni.

L’assenza di qualsivoglia sistema di riscaldamento che non siano bracieri e falò tra baracche ammassate di legno e plastica non fa che accrescere i rischi di roghi nell’insediamento durante l’inverno”. In occasione dell’ultima tragica morta del dicembre scorso, MEDU ricorda come avesse avvertito che il Dl Salvini su immigrazione e sicurezza, ormai legge, “non avrebbe fatto altro che alimentare aree di marginalità ed esclusione come i grandi ghetti, contribuendo ad aggravare questa vergogna italiana. Questo oggi sembra puntualmente avverarsi”. Medici per i Diritti Umani torna a chiedere alle istituzioni azioni immediate per assicurare condizioni di accoglienza dignitose e sicure ai lavoratori migranti della Piana di Gioia Tauro.

Cgil a Salvini: no ricette persecutorie

“Il problema non si risolve con la solita ricetta persecutoria annunciata ancora una volta dal ministro dell’Interno: sgomberare il campo di San Ferdinando, senza preoccuparsi di dove saranno collocati i suoi occupanti”. Così il segretario nazionale della Cgil, Giuseppe Massafra, commenta le parole di Matteo Salvini, dopo l’incendio divampato nella notte nella baraccopoli di San Ferdinando, in provincia di Reggio Calabria, che ha provocato la morte di un giovane migrante senegalese.

“Da tempo come Cgil – prosegue il dirigente sindacale – stiamo chiedendo alle istituzioni di adottare politiche di integrazione vera e stabile, affrontando nel frattempo l’emergenza attraverso la dotazione di nuclei abitativi provvisori ma sicuri”. “Quel ghetto – conclude Massafra – va eliminato, perché alimenta un’economia tutta funzionale alla criminalità organizzata, dallo sfruttamento della prostituzione, al reclutamento di manodopera sfruttata nel lavoro nei campi, ma occorrono soluzioni e interventi per garantire il rispetto dei diritti umani fino ad oggi palesemente negati”.

“Il ghetto” di San Ferdinando “va eliminato” ma “il problema non si risolve con la solita ricetta persecutoria annunciata ancora una volta dal ministro dell’Interno: sgomberare il campo di San Ferdinando, senza preoccuparsi di dove saranno collocati i suoi occupanti”. Così il segretario nazionale della Cgil, Giuseppe Massafra, commenta le parole di Matteo Salvini, dopo l’incendio divampato nella notte nella baraccopoli di San Ferdinando, in provincia di Reggio Calabria, che ha provocato la morte di un giovane migrante senegalese.

“Da tempo come Cgil – prosegue il dirigente sindacale – stiamo chiedendo alle istituzioni di adottare politiche di integrazione vera e stabile, affrontando nel frattempo l’emergenza attraverso la dotazione di nuclei abitativi provvisori ma sicuri”. “Quel ghetto – conclude Massafra – va eliminato, perché alimenta un’economia tutta funzionale alla criminalità organizzata, dallo sfruttamento della prostituzione, al reclutamento di manodopera sfruttata nel lavoro nei campi, ma servono soluzioni e interventi in grado di garantire il rispetto dei diritti umani fino ad oggi palesemente negati”.

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