Un’operazione scattata alle prime ore del mattino, tra la Calabria e il Nord Italia per l’arresto di 12 persone ritenute legate a due cosche tra loro contrapposte
CATANZARO – L’operazione dei Carabinieri del Comando Provinciale di Catanzaro e dei Reparti speciali sta interessando la provincia di Catanzaro ed alcune località del nord Italia. Una vasta operazione, denominata ‘Reventinum‘, per l’esecuzione di un fermo di indiziato di delitto per associazione di tipo mafioso ed altro nei confronti di 12 persone ritenute appartenenti a due contrapposte cosche di ‘ndrangheta attive nell’area montana della Sila catanzarese.
Oltre ai provvedimenti di fermo sono contestualmente in corso numerose perquisizioni. Il provvedimento di fermo è stato emesso dalla Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia – di Catanzaro, guidata dal dott. Nicola Gratteri. Ai sodali destinatari del fermo sono contestarti una serie di reati nell’ambito di una vera e propria faida scaturita per la supremazia del controllo dell’area montana della provincia catanzarese.
Il sequestro e l’omicidio dell’avvocato Pagliuso
Alcuni fermati nell’operazione “Reventinum” sono accusati anche di violenza privata e sequestro di persona dell’avvocato Francesco Pagliuso, ucciso in un agguato il 9 agosto 2016 a Lamezia Terme. Il sequestro sarebbe avvenuto 2 anni prima. Per il delitto, nel 2018, è stato arrestato Marco Gallo, insospettabile 33enne lametino titolare di una società di consulenze che, per l’accusa, sarebbe un sicario a pagamento.
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Per gli inquirenti, Pagliuso sarebbe stato ucciso da Gallo per una vendetta trasversale ed in particolare per la sua vicinanza a Domenico Mezzatesta, l’ex vigile urbano responsabile, insieme al figlio Giovanni, del duplice omicidio, avvenuto nel 2013 in un bar di Decollatura, di Giovanni Vescio e Francesco Iannazzo, ritenuti vicini alla famiglia Scalise. Da qui si sarebbe innescata una spirale di sangue. I fermi hanno riguardato appartenenti alle famiglie Scalise e Mezzatesta.
Due fermi in Val D’Ossola
Ci sono anche due residenti in Val d’Ossola, nella provincia di Verbania, tra le 12 persone arrestate dai carabinieri del Comando Provinciale di Catanzaro e dai Reparti speciali nell’operazione ‘Reventinum’. Si tratta di un uomo e di una donna. Ai destinatari del fermo sono contestati una serie di reati nell’ambito di una vera e propria faida tra due cosche contrapposte. Sono in corso anche alcune perquisizioni.
Le dodici persone coinvolte sono
Pino Scalise, 61 anni
Luciano Scalise, 41 anni
Andrea Scalzo, 38 anni
Giovanni Mezzatesta, 43 anni
Livio Mezzatesta, 40 anni
Angelo Rotella, 36 anni
Vincenzo Mario Domanico, 43 anni
Salvatore Domenico Mingoia, 54 anni
Cleo Bonacci, 57 anni
Eugenio Tomaino, 55 anni
Giuliano Roperti, 50 anni
Ionela Tutuianu, 42 anni
A tutti i 12 indagati (7 legati alla famiglia Scalise e 5 ai Mezzatesta) viene contestata l’associazione mafiosa. Gli inquirenti ritengono di aver fatto luce sulla cruenta faida del Reventino (Platania, Decollatura, Soveria Mannelli e Serrastretta), con riferimento alle infiltrazioni nei segmenti economici delle costruzioni e in particolare del movimento terra nell’intera zona.
“I mandanti dell’omicidio stanno attorno anche a questi indagati – ha dichiarato il Procuratore Gratteri. – Un’area, quella montana, già attenzionata ma che, afferma il comandande provinciale dei carabinieri Marco Pecci “ha ancora molti aspetti oscuri”. In manette è finita anche la compagna di Domenico Mezzatesta, Ionela Tutuianu, che secondo gli inquirenti manteneva la leadership del capo cosca che era detenuto e veicolava i messaggi dal carcere del boss all’esterno, dettando le nuove strategie criminali.
“La capacità criminale della cosca Scalise – affermano gli inquirenti in riferimento alla vicenda Pagliuso – è testimoniata dal sequestro dell’avvocato Pagliuso, che dalla seconda metà del 2012 era difensore di Daniele Scalise, figlio del capo cosca Pino Scalise per un procedimento penale a Cosenza. Gli elementi investigativi acquisiti hanno documentato come Pagliuso accusato di minor impegno professionale e di aver commesso degli errori nella linea difensiva a tutela di Scalise, venisse privato della libertà, incappucciato e condotto con la forza in un bosco del Reventino, dove è stato costretto a stare legato dinanzi a una buca scavata nel terreno. Il tutto al fine di piegare l’avvocato alla volontà della cosca, specie con riferimento alle determinazioni e al comportamento da tenere nel procedimento a carico di Scalise. Il sequestro e la violenza privata perpetrati con l’aggravante mafiosa in danno dell’avvocato vengono contestati con il fermo odierno. Lo stesso Pino Scalise, in un momento successivo, non esiterà a reiterare ulteriori minacce raggiungendo Pagliuso direttamente all’interno del suo studio a Lamezia Terme”.