ROMA – La condanna a sei anni e sei mesi, nei confronti di Antonio C., calabrese di 42 anni, è stata confermata dalla Suprema Corte per le violenze perpetrate ai danni della moglie.
Nessuno ‘sconto’ di pena dunque per il giovane marito che per tre anni avrebbe obbligato la moglie a continui rapporti sessuali, anche più volte al giorno. L’uomo avrebbe preteso un rapporto completo addirittura mentra la donna in ospedale, era in attesa del parto con taglio cesareo. Anche per questo la Cassazione – con sentenza n. 41486 della Terza sezione penale – ha respinto la richiesta di concessione delle attenuanti generiche avanzate dall’uomo che, essendo incensurato, sperava di ottenere una riduzione di pena. L’uomo avrebbe anche provato a giustificare il suo ‘comportamento’ affermando di non meritare una condanna tanto ‘pesante’ dato che c’erano stati anche rapporti consenzienti. Secondo la Cassazione però, relativamente a questa vicenda avvenuta in Calabria, “la condotta criminosa è stata caratterizzata da una pluralità di abusi sessuali, compiuti anche durante la gravidanza e in prossimità del parto, in un incalzante contesto di sopraffazione e di pieno annullamento della libertà di autodeterminazione della vittima, che doveva soggiacere alle morbosità dell’uomo”. La donna avrebbe trovato il coraggio di denunciare le violenze subito dopo tre anni, nel giugno 2007, e aveva chiesto l’allontanamento di Antonio C. dalla casa per intraprendere l’iter della separazione. Il Tribunale di Vibo Valentia aveva condannato in primo grado l’imputato alle stessa pena, confermata dalla Corte di Appello di Catanzaro il 21 gennaio 2013, e adesso dalla Suprema Corte.