La Corte di assise di appello di Catanzaro ha deciso di confrontare i campioni di dna già acquisiti con quello estrapolato sotto il capo della vittima.
CATANZARO – Un mistero ancora non svelato; una storia infinita che non ha trovato giustizia. E’ la tragica morte di Roberta Lanzino, avvenuta il 26 luglio del 1988 a Torremezzo di Falconara per mani assassine, ancora oggi non identificate, che resta al centro della cronaca giudiziaria locale. Più di ventotto anni di processi: imputati, presunti testimoni, collaboratori di giustizia tentarono di sciogliere il caso; ma nulla. Ad oggi la pace non è stata restituita ai familiari e amici, che attendono di conoscere la verità. Una verità che sembra impossibile riesca ad emergere; insabbiamenti, menzogne, passi falsi e continue incertezze, in quello che è divenuto uno dei processi più lunghi della nostra città. Ma la speranza non muore mai, resta viva, ogni volta nelle foto si scorge il sorriso della giovane studentessa di Rende, stuprata e uccisa barbaramente, con la sola colpa di essere passata in quel maledetto luogo del suo assassinio, nel momento sbagliato. Un destino crudele per il quale, ci si augura, prima o poi i suoi carnefici pagheranno.
Il processo Lanzino, ieri, è ripartito con un nuovo esame del dna. La Corte di assise di appello di Catanzaro ha deciso di confrontare i campioni di dna già acquisiti con quello estrapolato sotto il capo della vittima, al momento del ritrovamento del cadavere. I campioni che verranno confrontati sono quelli degli imputati Alfredo e Franco Sansone, padre e figlio, accusati di avere violentato e ucciso la studentessa assieme al complice Luigi Carbone (nel frattempo deceduto). Carbone potrebbe essere una vittima di lupara bianca, secondo l’accusa infatti, sarebbe stato ucciso da Alfredo Sansone assieme ai figli Franco e Remo, perché avrebbe voluto rivelare ciò che sapeva del delitto Lanzino. Ma il processo di primo grado, svoltosi davanti alla Corte d’assise di Cosenza nei mesi passati, si è concluso con l’assoluzione di tutti gli imputati sia per l’omicidio di Roberta Lanzino che per quello di Luigi Carbone. La Procura ha presentato ricorso, avviando il processo di secondo grado dinnanzi la corte d’assise d’appello di Catanzaro.
Saranno il dott. Ciro Di Nunzio (docente di Genetica forense presso la cattedra di Medicina legale dell’Università Magna Graecia di Catanzaro, iscritto all’Albo dei Consulenti tecnici del Tribunale e della Procura della Repubblica di Napoli) e il dott. Carlo Sepe (dirigente medico di I livello del Presidio ospedaliero S. Paolo di Napoli e responsabile della Diagnostica molecolare dell’Asl NA1, iscritto all’Albo dei Consulenti tecnici del Tribunale e della Procura della Repubblica di Napoli); incaricati a confrontare i dna. Il nuovo accertamento è stato richiesto dall’avvocato di difesa della famiglia Lanzino, Ornella Nucci. Per fugare ogni dubbio che il campione di Franco Sansone non fosse stato specificamente identificato durante l’analisi iniziale (effettuata nel primo grado di giudizio); l’avvocato difensore di Sansone, Enzo Belvedere, ha sollecitato i giudici di prelevare nuovamente un tampone salivare del suo assistito. Inoltre ha chiesto di confrontare nuovamente il tratto genotipico già profilato di Luigi Carbone (mediante i prelievi operati sui genitori dello stesso) con il campione estratto dal terriccio, prelevato sotto il cadavere della vittima. Anche questo per scongiurare ogni dubbio che potesse essere stato Carbone l’assassino unitamente a Sansone. La Corte ha accolto le richieste di Belvedere. La prossima udienza è fissata per il 9 maggio.
Durante il processo di primo grado, che si concluse con l’assoluzione degli imputati, i carabinieri del Ris ritrovarono un campione del terriccio estratto sotto la testa della vittima, dal quale riuscirono ad estrapolare una parte infinitesimale di dna considerato liquido seminale. Questo venne confrontato con quello di Franco Sansone e congiunti. L’esito fu negativo, da qui l’assoluzione. Ora il nuovo accertamento.