L’ex prefetto di Cosenza Galeone a processo, colpo di scena: intercettazioni sparite

Su 24 telefonate ne mancano 18 tra quelle intercettate sull’utenza di Cinzia Falcone che denunciò la richiesta di una presunta “mazzetta” da 700 euro

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COSENZA – Su 24 telefonate ne mancano 18. Colpo di scena nel processo che vede imputata Paola Galeone, ex prefetto di Cosenza accusata di induzione indebita a dare o promettere utilità. Al centro del dibattimento una presunta “mazzetta” da 700 che avrebbe chiesto all’imprenditrice Cinzia Falcone presidente dell’associazione Animed che gestiva il centro migranti allestito all’interno dell’ex hotel La Fenice e chiuso dalla Prefettura per irregolarità nell’accoglienza. A rivelarlo in aula è stato il perito fonico Fabio Milana, consulente tecnico della difesa che è stato ascoltato oggi, dal collegio giudicante presieduto da Luigi Branda con a latere i giudici Urania Granata e Maria Teresa Castiglione.

Le telefonate fantasma

Milana afferma di non avere alcun dubbio e che i suoi riscontri sono praticamente identici a quelli fotografati dal perito nominato dalla Procura. Le telefonate fantasma appaiono tecnicamente nel telefono sequestrato, nei file rav della ditta che registrava le conversazioni captate, ma non nei brogliacci e negli audio mp3 che costituiscono il cuore dell’indagine. «Quanto riportato a verbale – spiega Milana al collegio giudicante – è diverso da quanto è presente nei supporti contenenti le intercettazioni di Falcone e della conversazione intrattenuta al bar prima dell’arresto attraverso la cimice che insieme alla Questura aveva posizionato nella propria borsa. Ho riscontri tecnici e documentali di quanto affermo. C’è una chiamata di 18 minuti dei quali sono stati trascritti meno di 3 minuti. Ben 18 eventi telefonici per una durata complessiva di 30 minuti non sono stati documentati. Strano perché invece dalle conversazioni captate dal cellulare dell’ex prefetto non manca nulla».

L’intercettazione ambientale interrotta

L’audio dell’incontro

pianificato da Falcone (affiancata dagli agenti della Questura) per consegnare il denaro sarebbe invece quasi indecifrabile. «Era difficile ricostruirne il contenuto – ha chiarito Milana –non si riusciva a trascrivere neanche una sola frase di senso compiuto. Il file peraltro ci è stato fornito filtrato, non era l’originale. In queste condizioni vale l’esempio del marito che dice all’amico “ammazza come cucina mia moglie” e la frase si trasforma in “ammazza mia moglie”. La questione però non ruota intorno a una cattiva interpretazione. Di quanto raccontato da Falcone durante la scorsa udienza non vi è traccia. Né io né il perito della Procura né quello del Tribunale abbiamo sentito e scritto che il prefetto diceva “tieniti 100 euro”. Non c’è questa frase. Eppure appare nei brogliacci della polizia giudiziaria. In più sembra che l’intercettazione ambientale sia stata stoppata e poi abbia ricominciato a registrare». Sul punto è intervenuta anche Galeone rilasciando dichiarazioni spontanee: «ribadisco questa circostanza che io abbia dato 100 euro a Falcone non è vera, non ho aperto il portafoglio e non ho tirato fuori soldi. Lo ricordo bene».

L’appalto del centro migranti

A suo dire, Falcone, aveva paura di non poter rientrare nel circuito dell’accoglienza che solo nel 2017 l’aveva portata a incassare con l’Animed 1 milione e 100mila euro. In realtà era già stata esclusa dalla Stazione Unica Appaltante della Provincia di Cosenza per carenze documentali. A testimoniarlo è stata la presidente del seggio di gara Perrotti la quale non solo ha affermato che l’esclusione era stata notificata a fine novembre, ma anche di non aver mai parlato di migranti e del centro di accoglienza di Spezzano Sila con l’ex prefetto Paola Galeone.

 

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