COSENZA – Il coraggio di denunciare. Dietro il decreto di fermo di Alfonsino Falbo 42 anni, Francesco Greco, 36, Francesca Bartone, 35
anni, tutti di Cosenza e Andrea Stavale, 38 anni di Bisignano, c’è l’ordinario coraggio di due imprenditori, nel ramo del fotovoltaico, che si sono ribellati alle regole della mala, rifiutando patti ed estorsioni, finendo per pagare di persona il rifiuto con minacce e botte. I fermi, eseguiti dalla squadra Mobile di Cosenza, coordinati dal commissario capo Antonio Miglietta, sono stati disposti dai magistrati del pool antimafia della Dda di Catanzaro. Dietro questa storia c’è anche un insegnamento e una verità: per tanti imprenditori che, per paura, per vergogna o per evitare ripercussioni personali e familiari, preferiscono accettare gli accordi imposti e scegliere la strada del silenzio, ce ne sono altri, tanti altri, che, si fidano dello Stato e denunciano i soprusi, spezzando così il muro d’omertà dietro il quale si nascondono i “parassiti” dell’Antistato, con l’etichetta di uomini d’onore ma che di onore hanno davvero poco, se non addirittura nulla. La trama di questa storia, è purtroppo, la solita. La crisi che da tempo sta strozzando l’economica e mandando in frantumi tanti sogni imprenditoriali, s’è abbattuta anche sui due titolari dell’azienda di impianti fotovoltaici che, non riuscivano più a “stare dietro” ai pagamenti dei fornitori. I due, pensando di superare l’impasse di difficoltà, avevano deciso di rivolgersi a Francesca Bartone che, tra l’altro, consideravano amica. La 35enne, mostrando tutto il suo interesse, disse ai due di non preoccuparsi che avrebbe trovato una soluzione. Una soluzione che, secondo la denuncia dei due imprenditori e i riscontri investigativi degli agenti della squadra Mobile e dei detective del Reparto prevenzione Crimine Calabria, si è materializzata con l’intervento di Stavale e Greco, nonchè con l’interessamento anche di Falbo, considerato dagli inquirenti, “vicino” alla cosca Cicero. Il resto è purtroppo cronaca. La solita. Quella che, fiutato l’affare, la cosca decide di mettere le mani sull’intero “malloppo, riprendendosi non solo il capitale con la maturazione degli interessi ma anche sull’intera azienda. Insomma un debito di 30mila e poco più di euro non solo da restituire, ma la cosca voleva anche l’azienda, del valore complessivo di 1,2 milioni di euro. La richiesta, rifiutata dai due imprenditori, è stata rispedita al mittente. Ma i quattro, il rifiuto non l’hanno preso bene. Per niente. Tanto da iniziare un vero e proprio pressing “asfissiante” sulle vittime, fatto di minacce, telefonate varie, ricatti e persino pestaggi. iù di una volta, infatti, i due titolari dell’azienda sono stati presi a calci e pugni in faccia, nonchè in altre parti del corpo. Seppur doloranti e sanguinanti, ai due è stata impedito anche di recarsi in ospedale per farsi medicare. Troppo evidenti i segni del pestaggio, troppo alto il rischio che i due parlassero, troppo importante per i quattro mantenere i due imprenditori sotto la cappa di paura e terrore. Fino alla decisione dei due di uscire dall’inferno e liberarsi dai “demoni”. le vittime, infatti, hanno deciso di raccontare tutto agli agenti della squadra Mobile. Il fascicolo, considerata la presenza di personaggi vicini o intranei alle cosche, è passato dalla Procura ordinaria alla Dda di Catanzaro. Il resto l’hanno fatto i detective della squadra Mobile e del reparto prevenzione crimine Calabria, tenendo sotto controllo l’azienda, le due vittime e i quattro. In ore e ore di intercettazioni video, telefoniche ed ambientali, c’è tutto il compendio dell’estorsione, con tanto di minacce e avvertimenti. All’alba il blitz con il fermo dei quattro. Oggi ha vinto lo Stato, ha vinto il coraggio di denunciare.