La droga in carcere nelle palline da tennis, detenuti disposti in celle vicine alla strada

Sono gli assistenti capo Luigi Frassanito e Giovanni Porco gli agenti di polizia penitenziaria del carcere di Cosenza arrestati dai carabinieri con l’accusa di aver favorito cosche di ‘ndrangheta all’interno della casa circondariale di Cosenza.

 

COSENZA – I nomi dei due assistenti capo Luigi Frassanito, di 56 anni, e Giovanni Porco, di 53 anni, sono stati resi noti nella conferenza stampa convocata nella Procura di Catanzaro per illustrare i risultati dell’operazione, coordinata dalla Dda catanzarese guidata dal procuratore Nicola Gratteri. L’accusa a carico dei due agenti di polizia penitenziaria arrestati è concorso esterno in associazione mafiosa. Un terzo agente di polizia penitenziaria risulta indagato nell’inchiesta.

Gravissime le condotte dei due agenti infedeli che hanno favorito i detenuti nel corso degli ultimi 10 anni. “Questa indagine fa parte di quel pacchetto di indagini ferme e dimenticate sulle quali nessuno aveva messo le mani. Si basa su fatti avvenuti anche 7 anni fa, avvenuti nel carcere di Cosenza ed emersi oggi grazie alla bravura e alla determinazione dei carabinieri del comando provinciale di Cosenza. Sono state messe in ordine dichiarazioni di più collaboratori di giustizia, fatti, intercettazioni ed elementi emersi in tanti altri fascicoli aperti anni fa. E così siamo riusciti a dimostrare che c’erano uomini della polizia penitenziaria “infedeli” che hanno consentito l’ingresso di ‘pizzini’, di droga nelle palline da tennis, di soldi…”.

“Gli ‘ndranghetisti non devono essere detenuti nella loro città”

Altro grave elemento, sottolineato dal Procuratore Gratteri, è quello della “dislocazione di detenuti nelle celle che affacciano sulla strada comunale dove avvenivano colloqui e imbasciate, ma addirittura riti d’affiliazione. E’ grave – sottolinea Gratteri – perchè una maggiore attenzione della gestione dei detenuti avrebbe potuto determinare non solo i responsabili  del carcere ma di chi ci stava sopra. I detenuti di ‘ndrangheta di Cosenza, l’ho detto in più occasioni, non devono stare nel carcere della propria città. Questa dovrebbe essere la base di una gestione normale. Siccome questo si è verificato nel corso degli anni, vorrei capire chi non ha controllato e chi ha chiuso un occhio nella gestione allegra, e chi faceva il proprio comodo. Sono almeno 10 anni che c’è questo modus operandi”.

“Oggi – ha concluso il procuratore – siamo riusciti ad azzerare una gestione di corruttele e di non osservanza del codice penale e dell’ordinamento penitenziario. Certo se avessi quattro magistrati e 200 carabinieri in più farei il triplo, ma qui non c’è un carabiniere che sta fermo, c’è gente che lavora giornate intere. E un altro dato importante è che non essere intervenuti negli anni passati, ha cagionato minacce e danneggiamenti ad altra polizia penitenziaria onesta e perbene che tutti i giorni fa il proprio dovere”.

Sutera: “il farmaco per alterare la voce a chi doveva fare una consulenza fonica”

Nel carcere, grazie ai due agenti corrotti, entrava di tutto: “uno scambio che è andato avanti per diversi anni, con il denaro tratto dalla cosiddetta bacinella, che è il provento delle attività criminose delle cosche che operano nel capoluogo di Cosenza e gli agenti ricevevano regalie varie, profumi, favori personali”. A dirlo è il comandante dei carabinieri di Cosenza, Piero Sutera che sottolinea come il filtraggio nel carcere fosse molto blando quando questi soggetti erano preposti al controllo: “è stato possibile riscontrare la presenza di alcolici, sostanze stupefacenti, con modalità particolari: ad esempio la droga che arrivava all’interno delle mura del carcere con stratagemmi particolari come le palline da tennis lanciate oltre il muro di cinta. In un caso sarebbe stato introdotto un farmaco per alterare la voce ad un detenuto che sarebbe stato, da lì a poco, sottoposto ad una consulenza fonica nell’ambito di un procedimento penale”. “La cosa importante da sottolineare però – spiega Sutera – è che a fronte di appartenenti dello Stato che hanno certamente preso una strada sbagliata mettendosi a disposizione delle cosche, ci sono tanti altri agenti della polizia penitenziaria che ogni giorno hanno lavorato e lavorano in maniera encomiabile e proprio per questo hanno subito delle rappresaglie”.

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