Da presunta vittima a truffatrice. Scoperta impostora dietro la truffa dello specchietto

Assolto l’imputato cosentino di 38 anni caduto nella trappola della truffa dello specchietto scoperta grazie alle indagini difensive che hanno smontato il castello accusatorio

 

COSENZA – Un 38enne cosentino fu accusato a febbraio del 2014 di avere investito una donna mentre era alla guida della propria autovettura, una Nissan J 10 in via Vittorio Veneto. L’uomo venne accusato di viaggiare ad una velocità superiore ai 50 km orari e mentre intraprese l’attraversamento della carreggiata, sulle strisce pedonali, di avere investito il pedone che urtò contro il veicolo con il braccio e la spalla destra cagionandogli lesioni personali giudicate guaribili in 15 giorni. Il 38enne, dunque avrebbe agito con imprudenza, negligenza ed imperizia nonché in violazione delle norme sulla circolazione stradale.

Fino a questo punto sembrerebbe un normale incidente se non fosse che, in realtà, sin dall’inizio la storia prese un’altra piega anche perché qualcuno riconobbe che la donna in questione era solita recarsi dalle forze dell’ordine per sporgere denuncia e guadagnare qualche spicciolo. A rubare la scena alla “malcapitata” ha provveduto la difesa dell’imputato, rappresentata dall’avvocato Giampiero Calabrese, tramite indagini difensive e soprattutto una ricostruzione meticolosa dell’accaduto attraverso la stessa “vittima” che in più occasioni nel rispondere si contraddisse.

I FATTI

Quell’11 febbraio del 2014, ben 5 anni fa, il 38enne a bordo della propria autovettura viaggiava accompagnato da moglie e figlio seduti sul sedile posteriore e quindi poco visibili dall’esterno dell’abitacolo. Intorno alle 18 accadde il sinistro, l’urto con la presunta vittima. Il giovane subito dopo si rivolse al cognato, un commerciante della zona per raccontare l’accaduto, visibilmente mortificato e preoccupato anche se il pedone aveva assicurato non avesse riportato nessuna ferita. Ed il cognato raggiunse la donna che si trovava poco distante dal negozio anche perché residente nella stessa zona, per capire cosa fosse successo e se realmente occorresse intervenire per aiutarla. Il cognato dell’imputato, poi diventato teste in Tribunale, invitato a rendere sommarie informazioni davanti agli organi di polizia dichiarò: “Ricordo perfettamente quella sera in quanto sia io che i miei familiari rimanemmo molto colpiti del comportamento della donna. Mi trovavo presso il mio esercizio commerciale quando mi raggiunse mio cognato raccontandomi l’accaduto introno alle 18 all’incrocio tra via Vittorio Veneto e via Trieste si era visto attraversare fulmineamente la strada da una donna. Solo per un colpo di fortuna mio cognato non la investì toccandole con lo specchietto alla borsa. La riconobbe solo successivamente dopo essersi fermato per lo spavento. Rimanendo a bordo dell’autovettura le chiese se stesse bene e se le avesse procurato qualche danno o lesione. La donna avrebbe risposto che non era successo nulla e che stava bene: “tutto ok”, e di non avere bisogno di nulla, tant’è che la stessa si era allontanata raggiungendo un negozio di ortofrutta.

Per tranquillità di mio cognato raggiunsi la donna rassicurandomi che stesse veramente bene. Quest’ultima si trovava con altre persone intenta a ridere e a scherzare. Mi rassicurò che fortunatamente non fosse successo nulla , che potevo stare tranquillo, che lo specchietto avesse soltanto preso la borsa. Andai via ma intorno alle 22 la donna mi contattò sul mio numero di cellulare comunicandomi di trovarsi in Pronto Soccorso per via di una frattura alla spalla. La mattina successiva si presentò presso il mio negozio insieme alla sorella chiedendomi 100 euro per l’acquisto del tutore che avrebbe dovuto indossare. Sottolineo che la donna non presentava segni di qualcuno che fosse stato investito».

La presunta vittima sporge denuncia e si finisce davanti al giudice

L’avvocato Giampiero Calabrese coadiuvato dall’avvocato Luana Barone avvia una serie di indagini difensive scoprendo che la donna era solita recarsi dalle forze dell’ordine per sporgere denunce di vario tipo e natura e fa emergere durante il dibattimento tramite escussione dell’imputato che l’impatto avvenne tra la borsa della donna e lo specchietto retrovisore e non tra la donna e l’autovettura dotata di sistema satellitare e quindi in grado di individuare se l’auto, quel giorno avesse o meno impattato contro la donna.

Davanti al giudice vengono escussi il maresciallo dei carabinieri che aveva effettuato gli atti di uffici dichiarando che la donna si era presentata in ufficio raccontando i fatti e per quanto di competenza non aveva compilato nessun rapporto di sinistro ma sentito il cognato dell’imputato. Poi a domanda della difesa ha dichiarato che la donna era solita recarsi in ufficio per sporgere querele di varia natura. Anche il cognato dell’imputato venne sentito facendo emergere un nuovo dato rispetto alle sommarie informazioni rese subito dopo l’incidente: la presunta vittima era una donna conosciuta nel quartiere in quanto era solita chiedere risarcimenti di danni di sinistro non accaduti e proprio in ragione di questo il cognato dell’imputato preferì recarsi di persona presso l’ortofrutta per constatarne lo stato di salute.  Lo stesso imputato venne sentito davanti al giudice il quale raccontò nuovamente gli stessi fatti esposti in Sit dal cognato. A questo punto a sciogliere i nodi sono l’esperto assicurativo e la stessa vittima che si contraddice più di una volta scagionando l’imputato dalle false accuse.

La consulenza tecnica sul satellitare “non risultano urti e sinistri”

La difesa fa emergere che le auto montanti i satellitari sono forniti di tabulare Unibox crash da cui si può evincere il crash o minicrash che poi si verificò quel giorno spiegandone la differenza: “l’unibox registra il percorso dell’auto nonché tutti gli urti Crash e minicrash e il giorno del presunto sinistro la stampa del minicrash dice che non c’è stato nessun sinistro; un impatto con una persona fa parte di quella intensità registrabile dall’Unibox e di conseguenza risulterebbe rilevabile un urto con conseguenze di lesioni guaribili in 15 giorni con lo specchietto retrovisore, qualsiasi tipo di impatto da qualsiasi lato risulterebbe. I chash ed i minicrash vengono rilevati solo da auto in moto.

Nel caso di un minicrash si intende che un piccolo urto di fiancata sinistra sul braccio destro di una persona dovrebbe essere rilevati”. Ma nel caso specifico non fu rilevato nulla; la difesa riuscì a dimostrare come l’impatto avvenne tra lo specchietto retrovisore e la borsa e non tra braccio e fiancata

Le continue contraddizioni della vittima portano alla luce la truffa

Escussa la vittima, a domanda della difesa più volte cambiò versione. Prima dichiarò di essere stata investita ed essere stata colpita al braccio destro, dove portava a tracolla una borsa “sono rimasta in piedi, mi è caduta solo la borsa”. Alla fine della deposizione cambierà versione dichiarando che fu colpita talmente forte da roteare e per poco non cadde venendo colpita al braccio e spalla destra. Sempre la vittima in una prima versione dichiarò che fu l’imputato a presentarsi e a lasciare il nome e cognome del cognato a cui rivolgersi in caso di bisogno; poi nella seconda versione dirà di aver detto subito all’imputato di essersi fatta male e lo stesso chiamò il cognato; poi precisò a risposta dell’accusa che non cadde a terra ma sbattè contro lo specchietto. Dichiarò ancora che dopo aver detto all’imputato di essersi fatta male questi interessò subito il cognato e l’incontro avvenne sul posto “un poco più sopra”, ma dichiarò ancora, precedentemente, che dopo aver parlato con l’imputato fossero andati via entrambi e in un’altra versione l’imputato le lasciò il nominativo del cognato a cui rivolgersi.

E ancora in una prima versione dirà che l’imputato era solo alla guida, poi che lo stesso era in macchina con moglie e figlio seduti sul sedile posteriore (e quindi poco visibili dall’esterno agli occhi dei passanti e quindi della stessa presunta vittima). Dichiarò ancora di essersi recata dal cognato dell’imputato insieme alla sorella “per metterci d’accordo” e di essere stata aggredita verbalmente e, conseguentemente, di essere andata via e di non avere chiesto soldi, mentre in denuncia dichiarò di non essere andata da quest’ultimo subito ma, su richiesta del maresciallo, di essersi recata da lui il giorno dopo.

Il tragitto in ospedale e il referto “monco”

Rilasciò versioni diverse sull’orario in cui si recò a casa e poi in ospedale. Prima giunse a casa alle 18 e poi si recò insieme ai familiari in ospedale verso le 20, con un margine di due ore in cui non sa dare spiegazioni di come trascorre il tempo. Ma nelle dichiarazioni l’abitazione della donna dista dal pronto soccorso cinque minuti mentre il punto dell’impatto solo dieci minuti.

In ospedale il referto medico porta la l’orario 20.45, quindi un lasso di tempo ancora maggiore rispetto a quello dichiarato. Nelle annotazioni si legge trauma contusivo spalla destra ma mancano gli esami radiologici che non furono eseguiti. La stessa sorella della vittima che lavora presso l’ospedale civile dell’Annunziata di Cosenza racconta che l’abitazione dista dall’ospedale solo cinque minuti.

Le due donne si recano dalle forze dell’ordine a sporgere denuncia il giorno successivo e la sorella della vittima precisa che quest’ultima conosceva il cognato dell’imputato; che non avrebbero riferito i dettagli dell’investitore ma solo il modello dell’auto e che nei giorni seguenti la vittima era riuscita ad intravedere l’auto prendendone il numero di targa e trasmettendola al maresciallo dei carabinieri. Tutte dichiarazioni smentite dallo stesso maresciallo dei carabinieri.

Un processo che sarebbe potuto finire con una condanna al risarcimento del danno in favore della vittima se la difesa dell’imputato non avesse agito con arguzia nel ricostruire la dinamica dei fatti e soprattutto evidenziare le varie contraddizioni della vittima che, insieme alla testimonianza tecnica del perito assicurativo hanno scagionato in pieno l’imputato. E la truffa dello specchietto finalmente non fa più paura. La donna adesso rischia una querela per calunnia

 

 

 

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