COSENZA – Colpevole d’innocenza? La vicenda della sparatoria davanti un noto locale di Rende, risalente alla tarda sera del 27 ottobre del 2006, nel corso della quale venne raggiunto da diversi colpi di pistola un buttafuori
del noto locale notturno di Rende, potrebbe riaprirsi con clamorose novità e altrettanti colpi di scena. Per quel tentato omicidio, è finito in carcere, da ben sei anni, Andrea Molinari, vecchia conoscenza delle forze dell’ordine, arrestato dai carabinieri per quel fatto di sangue e condannato a 10 ani di reclusione. Anni di detenzione ridotte in Appello, dopo che in primo grado i giudici di Corte d’Assise di Cosenza gliene avevano inflitti sedici. Sin dal giorno del suo arresto, nonostante Molinari (all’epoca dei fatti 30enne, oggi di anni ne ha 36, ndr) abbia tentato più volte di ribadire con forza la sua innocenza, non c’è stato nulla da fare. Gli indizi raccolti dagli inquirenti, i racconti della prove testimoniali, gli spifferi di piazza e altro ancora hanno convinto, sempre più, forze dell’ordine e magistratura che fosse proprio lui il pistolero. Nonostante sia in cella da sei anni, Andrea Molinari, continua a gridare con forza la sua innocenza, evidenziando il sospetto che non solo per quel fatto di sangue si sia verificato un errore di persona ma che, qualcuno, l’abbia volutamente “incastrato”. Nonostante la pesante condanna, lo ricordiamo l’accusa è di tentato omicidio, gli avvocati difensori Paolo Pisani e Giovanni Cadavero, legali di fiducia di Molinari, non hanno mai smesso di cercare la verità, convinti più che mai che il loro assistito è estraneo ai fatti, per i quali, secondo loro, sta pagando un prezzo altissimo. I legali del 36enne, infatti, attraverso delle accurate indagini difensive, hanno portato a galla elementi ed indizi che scagionerebbero il loro cliente. Ma per poterli esibire e dimostrare serve la revisione del processo che i due stanno, con insistenza, chiedendo di riaprire. Oggi la stabilità di quell’impianto accusatorio sembra cominciare a scricchiolare. Un nuovo testimone, rimasto nell’ombra finora, è venuto allo scoperto e ha dichiarato che Molinari con quella sparatoria non c’entra nulla. Una versione di innocenza che viene servita, anche se in maniera tardiva, al 36enne anche dal suo principale accusatore: il barista del locale. Il barman del locale, infatti, sostenne che quella sera chi fece fuoco, Molinari appunto, secondo la sua versione, portasse la pistola alla cinta, quasi come se fosse un classico cowboy del far west. A scagionare Molinari, intanto, c’è anche un famoso “mister X” che, la sera della sparatoria, telefonò alla sala operativa del 112, dichiarando che a far fuoco era stato il coreano, descrivendolo come un uomo vestito di nero, basso e di costituzione robusta e con un codino. Nonostante le caratteristiche fisiche fossero diverse dall’imputato, con quel nomignolo è stato “battezzato” Andrea Molinari. Non solo, lo stesso ferito del locale, il buttafuori, mentre era ricoverato nell’ospedale dell’Annunziata, parlò pure lui del coreano, descrivendolo ad un familiare come uno “vasciu, bruttu e gruassu”. Quella chiacchierata è finita agli atti, perchè la conversazione tra il buttafuori e il familiare venne “raccolta” da una cimice che, i carabinieri, su disposizione della Procura della Repubblica di Cosenza, piazzarono nella stanza del nosocomio cittadino, dov’era ricoverato il ferito.