Prosegue il processo per la morte di Giancarlo Esposito, avvenuta nella piscina di Campagnano. Oggi nuova udienza con altre testimonianze, tra queste anche l’ex Assessore Massimo Bozzo
COSENZA – Accettare la morte di un figlio è inconcepibile ed insuperabile. Ancor di più lo è quando le responsabilità di chi l’ha causata non vengono a galla e viene celata la verità. Questo è quello che è accaduto al piccolo Giancarlo Esposito, il bimbo di soli quattro anni che perse la vita il 2 luglio del 2014; il giorno in cui aveva iniziato a frequentare il campo estivo organizzato all’interno della piscina di Campagnano (il cosiddetto programma“Kindergarden”). A distanza di più di due anni Giancarlo non ha avuto giustizia, il processo prosegue, ma ancora non è stata posta la parola fine a quella tragedia che portò via il proprio figlio ai genitori e ai suoi cari.
E’ annegato? Distrazione degli istruttori? La piscina non era a norma? Vi erano troppi bimbi in quella vasca e pochi educatori ad occuparsi di loro? Tantissime domande a cui si sta cercando tuttora risposta, tantissimi quesiti irrisolti che solo chi era davvero lì può conoscere.
Ma il silenzio regna sovrano in questa città, nessuno si assume le proprie responsabilità e paga per le proprie colpe, su questo – ci auguriamo – ci penserà la legge. Fatto sta che il bambino annegò in quell’acqua e nessun istruttore lo soccorse, si arrivò quando ormai era troppo tardi.
LE FASI DEL PROCESSO RIASSUNTE BREVEMENTE
Come dichiarato nella prima udienza, da due dei carabinieri che intervennero sul posto nell’immediatezza dei fatti; il bambino si trovava nella piscina riabilitativa quando perse conoscenza. Un bacino d’acqua con un’altezza che varia da 76 a 173 centimetri con un percorso vascolare fatto da un muretto abbastanza alto da coprire la perfetta visuale di tutti i bimbi presenti in acqua. E sembra che nessuna delle vasche attive fosse profonda 60 centimetri come previsto dalla legge per l’accesso ai bambini.
Inoltre uno dei carabinieri riferì che quando chiese le registrazioni degli impianti di videosorveglianza gli venne risposto che le telecamere non funzionavano da tempo. Il sistema fu quindi posto in sequestro e, come per magia, le immagini furono estrapolate e divennero poi oggetto d’indagine.
Altro elemento importante fu l’autopsia sul corpo del bambino dal medico legale, Francesco Vinci dell’Università di Bari, che aveva accertato la morte per annegamento data la presenza di acqua nei polmoni e non per una malformazione del sistema cardiocircolatorio come inizialmente era stato ipotizzato.
Ancora nell’ultima udienza è emerso che vi era un unico assistente bagnante presente nella piscina quella mattina, che però non era addetta alla vigilanza dei bambini dell’età di Giancarlo.
L’UDIENZA DI OGGI
Tutti elementi che sembrerebbero chiarissimi e che porterebbero ad una direzione precisa, ma il processo continua e oggi presso il Tribunale di Cosenza ha avuto luogo una nuova udienza.
Sono stati chiamati al banco a testimoniare diversi genitori che, quella maledetta mattina, si sono recati ad accompagnare i propri figli presso la struttura.
Ricordiamo che per il decesso di Giancarlo sono stati rinviati a giudizio per omicidio colposo le istruttrici Francesca Manna di 65 anni, la figlia 41enne Luana Coscarello, Martina Gallo classe 1993, Ilaria Bove 24enne ed il rappresentante legale della Cogeis a cui il Comune di Cosenza ha affidato la gestione della struttura, l’ex assessore allo Sport Carmine Manna. Nessuno degli accusati oggi era presente in aula. Della parte civile tre assenti.
Quello che è emerso dalle testimonianze di oggi di rilevante importanza è che tutti i genitori sono a conoscenza del solo fatto che i bambini portino i braccioli. Stop. Nessuno ha mai sentito parlare di attrezzi “antiannegamento” come per esempio i giubbotti di salvataggio. Certo i teste hanno dichiarato – la maggior parte – di non essere mai entrati nella struttura e aver visionato da vicino i propri figli durante le attività; ma quest’ultimi ai genitori hanno sempre e solo parlato di braccioli arancioni.
Se gli attrezzi vi siano o non vi siano o se vi siano e non sono stati utilizzati, non è dato saperlo. Certo Giancarlo al momento del decesso non portava nessun giubbino di salvataggio.
A testimoniare, questo pomeriggio, anche l’ex assessore Massimo Bozzo, frequentatore abituale della piscina (o meglio i suoi due figli per molti anni hanno frequentato il Kindergarden). La sua testimonianza, come quella degli altri teste, non ha aggiunto nulla di nuovo; anzi nella sua frase “piscina fiore all’occhiello della città”, ha fatto persino infuriare l’avvocato di difesa Francesco Chiaia, che ha esclamato: “ora anche l’elogio alla piscina non mi sembra proprio il caso”.
Stesso discorso per l’altro avvocato di difesa Ugo Ledonne che ha dovuto alzare un po’ la voce nel richiedere a Bozzo di rispondere semplicemente e direttamente alle domande, senza ricamarci intorno. Il giudice Marco Bilotta, al fine, ha ristabilito la pacatezza tra le parti.
Il processo prosegue, prossima udienza è fissata per il 16 dicembre.