COSENZA – “Mi hanno salvato la vita e ho ritenuto doveroso sottolineare come l’ospedale di Cosenza abbia all’attivo tantissime storie di “buona sanità” che è giusto raccontare“. Inizia così il messaggio di una lettrice di Quicosenza, P.F. “Se sono ancora qui a raccontare la mia storia, lo devo alla professionalità incontrata all’ospedale Annunziata di Cosenza”.
“Soffro da anni di sclerosi multipla e rettocolite ulcerosa (malattie autoimmuni). Quest’ultima, nello specifico, si è riacutizzata dopo 6 anni con complicazioni che hanno coinvolto il sistema ematologico. In seguito ad un grave malore sono arrivata in ospedale, dove mi hanno prontamente soccorso e, dopo numerosi accertamenti e consulti, mi sono stati diagnosticati citomegalovirus e malattia di Evans (malattia autoimmune). Solo grazie alla grande professionalità e tenacia dell’equipe dei reparti di gastroenterologia ed ematologia si è riusciti a identificare il problema e a trovare la corretta cura, permettendomi di tornare ad abbracciare la mia bambina e i miei cari”.
“La mia degenza è durata poco più di un mese – racconta – e posso testimoniare che presso il nostro nosocomio cittadino, spesso associato a vicende di malasanità, si trovano persone preparate e disponibili nell’assistenza e nella cura dei degenti dal punto di vista medico e, non meno importante, da quello umano. Voglio infatti ringraziare il direttore di gastroenterologia dott. Mario Verta e il direttore di ematologia il dott. Massimo Gentile e tutta l’equipe medica, lo staff infermieristico coordinato dalla dott.ssa Rosina Bortolotta, nonché gli operatori socio sanitari”.
“La mia testimonianza non vuole essere solo un atto di riconoscimento e di sostegno a coloro che si sono spesi, ognuno secondo il proprio ruolo, a salvare la mia vita, ma essere portavoce di tutte quelle storie a lieto fine che quotidianamente vengono vissute presso l’ospedale civile di Cosenza e che purtroppo fanno poco rumore. È indispensabile e doveroso raccontare le proprie esperienze per accrescere la fiducia e la stima in coloro a cui affidiamo la nostra salute o, come nel mio caso, la vita stessa”.