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Incendi boschivi, c’è la regia della mafia
LONGOBUCCO – La mafia dei boschi. Anche l’estate 2012 si è conclusa con un drammatico bilancio: gli incendi dolosi hanno fatto registrare impennate pericolose, divorando ettari di macchia mediterranea Dietro la mano incendiaria, secondo gli inquirenti c’è la regia della mafia dei boschi, spietata organizzazione criminale, che attraverso gli incendi dolosi “cura” i suoi interessi illegali.
A lanciare l’allarme, in piena emergenza incendi, era stato Luigi Stasi, il sindaco di Longobucco, un centro in provincia di Cosenza che ha visto andare in fumo 600 ettari di bosco, macchia e pineta: «Sono tutti incendi dolosi e non sono da attribuire ad allevatori ha affermato Stasi né ad altri. Non c’é speculazione edilizia. Sull’altopiano silano c’é un sistema, “la mafia dei boschi”. Se sia legata alla criminalità organizzata non lo so, questo lo devono stabilire gli inquirenti, ma comunque è un sistema consolidato da anni». Secondo Stasi, il vantaggio provocato dagli incendi «è quello di tagliare più repentinamente, perché una volta incendiata una zona si danno più facilmente le autorizzazioni al taglio degli alberi e, di conseguenza, si può vendere il legname. Ho fatto anche alcune denunce all’autorità giudiziaria sul disboscamento abusivo». Una situazione grave, quindi, ma non nuova se è vero che a metà luglio un gruppo di consiglieri della Regione Calabria aveva presentato un’interrogazione al presidente Scopelliti nella quale denunciavano: «In alcuni territori della provincia di Cosenza, in particolare in quelli ricadenti nei comuni di Longobucco, Acri, Spezzano della Sila e San Giovanni in Fiore, opererebbe da tempo una vera e propria associazione a delinquere, meglio conosciuta come mafia dei boschi» che, attraverso l’azione di ditte boschive compiacenti e senza scrupoli e con la complicità di alcuni tecnici assoldati all’uopo, «sottoporrebbe questi territori a devastanti incendi e a continui e ripetuti tagli di alberi irrazionali abusivi, distruggendo così enormi quantità di boschi di proprietà di privati ed Enti pubblici e devastando la preziosa flora e la straordinaria fauna di questi territori». Secondo i consiglieri regionali, sarebbero migliaia gli alberi tagliati indiscriminatamente, senza alcuna autorizzazione o prescrizione di legge, per soddisfare le esigenze del cosiddetto mercato del legname. Un mercato che, «da quanto emerge da alcuni rapporti giudiziari scaturiti dall’apertura di appositi fascicoli d’indagine da parte di alcune Procure della Repubblica che avrebbero già individuato le possibili ipotesi di reato, sarebbe in gran parte illegale e clandestino e potrebbe essere gestito dalla criminalità organizzata, che ne ricava enormi profitti».
NUMERI E INTERESSI: Se già il 2011 era stato considerato un anno terribile sul fronte incendi con 60mila ettari di bosco andati in fumo, il 2012 è destinato a diventare l’anno peggiore da inizio secolo dopo il 2007. Dall’inizio dell’anno, gli incendi sono già circa 6.200, con una superficie boscata percorsa dal fuoco di 22.000 ettari. Rispetto allo scorso anno, il numero di incendi è aumentato di circa il 75%, mentre l’incremento è del 100% per quanto riguarda le aree boscate percorse dal fuoco. Il 60% degli incendi da inizio anno è di origine dolosa e ci sono state circa 300 denunce per il reato di incendio boschivo, con un aumento del 40% rispetto allo scorso anno. Un incendio produce gravissimi danni all’ambiente, ma costituisce anche un aggravio all’economia della Regione. Se si considerano i fondi necessari per la messa in sicurezza dei terreni a rischio, aggiunti a quelli per l’assunzione dei lavoratori stagionali e ai mancati guadagni conseguenti al rogo, riparare i danni su un ettaro di bosco bruciato costa in media 5mila euro, ma ci sono zone dove il costo sale anche a 70mila». Come sottolinea il rapporto Ecomafia 2012 di Legambiente, dietro il fenomeno degli incendi dolosi, accanto ai tradizionali piromani, si celano spesso interessi illeciti. Una conferma indiretta arriva dall’incidenza degli incendi registrati nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (ben il 54%). Campania e Calabria, rispettivamente al primo e al secondo posto, sono state le regioni più colpite nel 2011 dagli incendi: in queste due regioni si concentra il 36% delle infrazioni riscontrate in tutta Italia. Anche in Calabria, che pure ha perso un posto in classifica, è cresciuto il numero di infrazioni, persone denunciate e sequestri. L’analisi dei roghi di quest’estate ha, di fatto, aperto un caso Toscana. L’alto numero di roghi registrati tra luglio e agosto ha fatto scattare un campanello d’allarme tra gli investigatori che temono che dietro i fuochi ci possa essere la mano della criminalità organizzata. Dal primo gennaio al 24 agosto sono stati registrati 741 incendi boschivi (di cui 190 a luglio e 248 ad agosto), per una superficie complessiva di 2550,69 ettari. E se nel quadriennio 2007-2011 la media era di 1,44 ettari per singolo rogo, quest’anno si è già a 2,26 ettari. La Regione ha reagito subito, portando da 15 a 20 anni il periodo nel quale è impossibile utilizzare i territori colpiti da fiamme e annunciando che si costituirà parte civile nei procedimenti contro i piromani.
LE INCHIESTE: Secondo Mauro Capone, responsabile della Divisione antincendio del Corpo forestale dello Stato, «la ‘mano’ della criminalità organizzata è presente nei roghi che interessano terreni o beni confiscati proprio alla mafia, con il chiaro intento di provocare un danno, o ad attività connesse alla gestione dei rifiuti». Secondo la normativa europea, infatti, il rifiuto vegetale deve essere trattato come uno scarto speciale e, quindi, bruciarlo significherebbe risparmiare economicamente. Giuseppe Badalà dal 2000 al 2009 è stato il responsabile del Niab, il nucleo investigativo antincendio boschivo del Corpo Forestale dello Stato. Attualmente dirige la divisione sicurezza agroalimentare e agro ambientale: «Quello degli incendi è un fenomeno che ha le caratteristiche della ruralità ed è legato all’ambiente dove si sviluppa. Per questo, nelle regioni del sud è un fenomeno correlato con la criminalità, ma non esistono prove che sia legato con quella organizzata. Spesso si tratta dell’azione di singoli, quello che è certo è che occorre approfondire le ricerche sul personale che viene impegnato nello spegnimento degli incendi, perché in zone povere di lavoro come quelle meridionali, l’ incendio del bosco può essere visto come fonte di reddito immediato, senza considerare i danni che reca alla collettività». Entrambi gli investigatori concordano nel ritenere che per spengere gli incendi gli interventi più importanti avvengono da terra. Per questo «a prima difesa dagli incendi è un’agricoltura ricca. L’abbandono dei campi è la prima scintilla che darà vita a un incendio». Secondo i dati forniti dalla Coldiretti, sono alla merce dei piromani circa 300mila ettari di bosco che sono stati abbandonati per effetto della chiusura delle aziende e si trovano ora senza la presenza di un agricoltore che possa svolgere attività di custodia, di valorizzazione, di protezione e di sorveglianza. C’è un ulteriore fattore da considerare nell’ analisi del fenomeno, ed è quello relativo al ruolo dei pastori, «in alcune zone veri e propri controllori del territorio per conto di organizzazioni criminali, come hanno dimostrato alcune operazioni che negli anni scorsi abbiamo sostenuto nelle province di Latina e Caserta».
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