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Sangue con germi all’Annunziata, medici indagati per omicidio
COSENZA – Morire per una trasfusione non può essere di ‘routine’.
La Procura della Repubblica di Cosenza ha emesso ieri otto avvisi di garanzia per la morte di Cesare Ruffolo, il settantacinquenne rendese, deceduto qualche settimana fa a seguito di una trasfusione di sangue infetto. Tra gli indagati risultano esservi i dirigenti medici dell’azienda ospedaliera, tra cui il direttore generale e il direttore sanitario, che avrebbero ignorato le numerose segnalazioni, 61 solo nel 2012, di morti sospette legate a trasfusioni rivelatesi fatali. L’indagine è coordinata dal procuratore capo del tribunale di Cosenza Dario Granieri. Degli avvisi di garanzia notificati ai vertici dell’Ospedale dell’Annnunziata tre riguardano il reato di omicidio colposo, tre di omessa denuncia di reato e due di omissione di atti d’ufficio. A finire sotto torchio sarà l’intera filiera del sangue del cosentino. La responsabilità, allo stato attuale dei fatti, è stata così attribuita a tutti coloro che a vario titolo hanno gestito il paziente. I filoni di indagine sono in realtà tre: il decesso di Ruffolo, le mancate ispezioni sul sistema trasfusionale, la mancata comunicazione della morte di Ruffolo nonostante i gravi sospetti sull’integrità della sacca di sangue rivelatosi poi contaminato. Solo nel mese di giugno, miracolosamente, Francesco Salvo sarebbe sopravvissuto ad una trasfusione di sangue contaminato.
Poi Raimondo Morrone. Il sessantottenne che, invece, perse la vita invece per una mancata trasfusione nonostante il fratello, un medico, avresse lottato per far comprendere al personale medico che l’uomo aveva una forte emorragia in corsa. La sua salma è stata sequestrata ieri dopo l’avvio delle indagini per essere analizzata dagli inquirenti che dovranno scoprire il perché del diniego dei medici ad eseguire una trasfusione sul pensionato. Per Ruffolo invece i risultati dell’esame autoptico saranno resi noti nella giornata di lunedì. Gravi le accuse che pesano sui dirigenti. Il presidente dell’ordine dei medici di Cosenza, Eugenio Corcioni sottolinea: “Ci sono servizi trasfusionali che continuano a lavorare avendo il 50% del personale previsto, a volte anche meno. Eppure, vale la pena di ricordarlo alla stessa Regione Calabria erano negli anni pervenute richieste, sollecitazioni, preghiere, documenti ed inviti per fare in modo che venissero rispettate le norme riguardanti i centri trasfusionali dove i medici ed i laureati sono meno del 1003, pur avendo carichi di lavoro sei volte maggiori. Ad oggi sono rimasti tre primari di ruolo sugli undici previsti. Ci sono centri trasfusionali che non potrebbero rimanere attivi, perchè il personale residuo è sottoposto a turni continui, con sovracarichi di lavoro. Tutto questo – prosegue dalle colonne di Gazzetta del Sud – solleva forse da colpe individuali, anche di natura penale? Evidentemente no, se e quando saranno accertate. E’ necessario però, che sul sistema trasfusionale regionale si faccia luce e si assumano impegni. Serve una riforma profonda e complessiva dell’intero servizio, perchè non si ripetano mai più casi come quello di cui ci siamo occupati”. Ma prima di riformare il sistema, forse, sarebbe meglio allontanare tutti i ‘professionisti’ assunti grazie agli ‘amici degli amici’. Dal personale medico a quello infermieristico.
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