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Frittole, scarafuagli e “quadara”: da scarti a prelibatezze. L’antica tradizione del maiale in Calabria
COSENZA – Frittole, scarafuagli e quadara: quando la tradizione diventa delizia. Per secoli il maiale ha rappresentato la dispensa dei calabresi e non solo: nelle più antiche della tradizioni contadine della nostra regione con la macellazione del maiale, rigorosamente fatta in casa, era un rito antico al quale partecipava tutta la famiglia. L’uccisione del maiale risale ad un’antichissima usanza, al sacrificio del Romani agli antichi Lari, protettori della casa.
Era anche il giorno dell’abbondanza e dell’allegria per i ceti più modesti in cui il lavoro sapiente delle donne nel preparare la carne, assicurava le provviste di vario tipo per tutto l’anno. Un vero e profondo significato culturale che rafforzava anche i legami familiari e comunitari, mantenendo vive le tradizioni che hanno radici profondissime nella storia della regione.
Nella Quadara: Da scarti del maiale a prelibatezze
Una vera e propria festa, che culminava con la preparazione della “quadara” e delle frittole. Una prelibatezza utilizzando le parti meno nobili del maiale e con tutto ciò che rimaneva: dal muso alle orecchie, dai piedi alla coda. Considerati scarti da molti, vengono trasformati in una delizia gustosa e unica attraverso una serie di passaggi magistrali e una lunga preparazione. Ancora oggi, nonostante l’evoluzione e lo scandire del tempo, le frittole di maiale rappresentano un viaggio nel cuore della nostra regione, dove la cucina diventa un’espressione tangibile della storia, della cultura e dell’identità. Attraverso questo piatto, si possono assaporare secoli di tradizione, passione e impegno.
Frittole: promosse anche da Cracco, Cortellesi e Albanese
Le frittole di maiale “del quale non si butta via mai nulla” disse Carlo Cracco che assaggiò questo piatto tipico, insieme alla Cortellesi e Antonio Albanese durante la puntata girata in Sila della trasmissione Dinner Club. Il giudizio fu più che positivo. La “quadara” per gustare quello che resta del maiale fu particolarmente approvata anche da Antonio Albanese che ne apprezzò in particolare le orecchie.
Sua maestà la quadara
Nelle tradizioni più antiche dei paesi calabresi, la quadara si prepara alla fine di una lunga giornata e dopo aver macellato e sistemato le parti nobili del maiale. Un grande pentolone di rame unto con la pelle del costato. Si riempie con la sugna ovvero i grassi rimanenti del maiale e si aggiungo man mano i gamboni, i piedi, le orecchie, la coda, il muso, le frittole (ovvero le cotenne), i reni, il cuore, la lingua, la pancia del maiale e la pancia.
La quadara, a questo punto, viene messa sul fuoco e si aggiunge dell’acqua salata e portata a bollore. Con un mestolo di legno si inizia a rimestare, facendo amalgamare la “sugna” con i pezzi di maiale. Qui, tra un bicchiere di buon vino e l’unione di tutta la famiglia, inizia una lunghissima cottura può variare dalle 6 alle 8 ore. Man mano i pezzi arrivano a cottura, vengono rimossi dalla “quadara”.
Gli scarafuagli: delizia sul pane o fritti nell’uovo
Sul fondo della quadara, a fine cottura, si depositano piccoli pezzetti di carne che, insieme al grasso rimanente poi vengono conservati in vasetti di vetro e ricoperti da una piccola parte del grasso di maiale sciolto. Sono i ciccioli di maiale, i frisuragli, o come vengono chiamati a Cosenza gli scarafuagli. Deliziosi su pane e crostini, nelle pitte calabresi o fritti con le uova e arricchita con del peperoncino in scaglie.
L’inno al maiale nei versi di Michele De Marco
Il poeta Michele De Marco, in arte “Ciardullo”, scriveva così del rito del maiale e della gioia nel ritrovarsi a gustare le prelibatezze e non gradite all’alta borghesia:
« Porcu… Gioia, ricchizza d’ogne casa,
grannizza vera, pumpusia frunuta!»…
CCu lu filiettu mpacchi la prima’asa
la fragagiella, mo cce vò, t’aiuta!…
E all’aurtimu, quatrà, cc’è la quadara!…
Cchi cc’è allu munnu chi ssa cosa appara?!
Chine frittula ha dittu, ha dittu quantu de chi biellu cce sta sutta lu sule!
Nun cc’è bisuognu, no, ca vi l’avantu:
l’avantu si lu porta sule, sule!
Cchi bellizza chi sù!Cce chiecchiarii?! Duve te cali cali te recrii!
‘A frittulilla è grassa? E cce nsapuri!
Ccu le corijellu ti cce fai la vucca!
Ccu le chiavi e ncasi la pirucca!
Pue la ntecuzza ccu la nzalatella!…
Cchi barsamu chi sù, cchi cosa bella!
E dire ca cce sù ssi munni munni
certi scangierri, oh Dio, nsignurinati,
surchiati, mprillicati, filiunni,
chi stuarcdiu l’uocchi e farù li stuffati:
«Cibo pacchiano, oh! Dio per carità,
come si mangia, cia come si fa!…»
Ah! chi ve vuolu fare a li jimbielli,
malanova v’accucchi, mienzi spiti!
«Cche vi pranzate voi? Latte d’aggielli?!
E già, ppe chissu siti culuriti,
forse maluacchiu, cumu la jinostra!…
Cibo pacchiano?! Ih! malanova vostra!»

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