CATANZARO – “Le attività estorsive non hanno risparmiato nessuno”, dichiara il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla nell’illustrare i dettagli dell’operazione eseguita stamattina dai carabinieri del comando provinciale di Cosenza lungo l’area del basso tirreno cosentino. “Il territorio di San Lucido ha vissuto negli ultimi tempi momenti di fibrillazione evidente, inquietante ed allarmante con danneggiamenti, incendi, con posizionamento di bottiglie incendiarie a scopo intimidatorio”.
“I vertici della ‘ndrangheta cosentina legittimavano il gruppo criminale di San Lucido attivo sulla costa tirrenica dedito in particolare alle attività di estorsione compiute con condotte di intimidazioni anche gravissime attraverso ordigni, incendi, ritorsioni e minacce. Operava attraverso attività di esercizio abusivo del credito per comprimere le attività imprenditoriali e arrivare a controllarle. Sono state infatti accertate intestazioni fittizie di attività commerciali”.
Opere pubbliche sotto il controllo del clan: dalle scuole alla bitumazione
Il procuratore Capomolla spiega anche come la “cosca organizzava e programmava le ingerenze sulle opere pubbliche del territorio. Una cosca che si è costituita in un territorio che ha avuto in passato una storia criminale, che ha portato anche all’attuale assetto organizzativo, con soggetti lambiti da precedenti procedimenti penali e anche condannati. Si è accertato anche come la struttura fosse stabile e capace di controllare il territorio a tutto campo, non disdegnando l’attività più redditizia, quella dello spaccio di sostanze stupefacenti con rapporti di fornitura da una parte (San Lucido) attraverso l’articolazione cosentina, mentre il gruppo di Paola, aveva anche un canale di rifornimento nella piana di Gioia Tauro”.
Le ingerenze nei lavori pubblici hanno riguardato una scuola, la bitumazione dell’asfalto e persino l’installazione di ripetitori delle società di telecomunicazioni. Un controllo inquietante e un’attività pressante della cosca che “è stata ricostruita con tenacia e non senza difficoltà dagli investigatori, in un contesto territoriale poco collaborativo con le forze di polizia”.
Il comandante provinciale dei Carabinieri di Cosenza, il colonnello Agatino Saverio Spoto, ha fornito i numeri messi in campo dall’Arma. “Sono stati impiegati oltre 200 carabinieri del comando provinciale di Cosenza – ha spiegato – oltre al fondamentale ausilio dei Cacciatori di Calabria e del nucleo cinofili che ci hanno fornito una cornice di sicurezza e hanno effettuto numerose perquisizioni che hanno portato al sequestro di diverse armi, alcune con matricola abrasa, a dimostrazione della pericolosità del sodalizio criminale in relazione alla possibilità di rafforzare la forza intimidatoria della cosca sul territorio”.
Dal pesce al legname, la cosca aveva le mani ovunque
“La cosca si era inserita nel mercato della commercializzazione del pesce, del legname, delle automobili – ha spiegato il procuratore Capomolla – e sono stati registrati intensi contatti tra la ‘ndrina di San Lucido e i vertici della’ ndrangheta Cosentina”. Contatti che sono passati dal boss Francesco Patitucci al suo braccio destro Roberto Porcaro quando Patitucci era detenuto.
Omertà totale
Il comandante della Compagnia di Paola, Marco Pedullà, ha parlato di “omertà totale da parte di testimoni e vittime”. L’ufficiale ha invitato a segnalare ogni criticità perché le stazioni dei carabinieri sono presenti sul territorio. “In tempi non sospetti – ha detto il comandate del reparto operativo Dario Pini – i collaboratori parlavano di rapporti tra le cosche tirreniche e cosentine”. “Nel corso delle perquisizioni eseguite questa mattina – ha detto il comandante provinciale dei carabinieri di Cosenza, Saverio Spoto – sono state rinvenute numerose armi, alcune con matricola abrasa”. La cosca Calabria-Tundis si legittimava attraverso i rapporti con la ‘ndrangheta cosentina e non è escluso che l’ attività di usura avvenisse con capitali che potevano provenire da Cosenza.

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