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‘Una festa senza festeggiato’, il Primo Maggio visto da un disoccupato

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‘Una festa senza festeggiato’, il Primo Maggio visto da un disoccupato

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COSENZA – La festa dei lavoratori è una festa per i disoccupati? Si può reputarla tale?

Semplici interrogativi che sorgono quando ci si sofferma a pernsare al valore dell’occupazione in un momento tragico per il mercato del lavoro come quello che stiamo vivendo. “Che senso ha andare ad una festa dove manca il festeggiato? – si chiede un giovane laureato in cerca di occupazione – Questa è la domanda che tutti si dovrebbero porre in occasione della festa del “lavoro”. Quel lavoro che non arriva mai, o che arriva quando si è perso l’entusiasmo e la voglia, quando è troppo tardi per festeggiare. Questa famosa flessibilità, punto cardine del <pacchetto Treu> (1997), si è tradotta in una mortificazione costante di studio e formazione, continuiamo e continueremo a collezionare titoli di studio e, se da un lato saremo la generazione più specializzata della storia d’Italia, dall’altro saremo forse”troppo” specializzati per trovare un lavoro serio e gratificante per i titoli acquisiti. Ma l’Italia si sa è un paese che quando si deve decidere, quando si deve decidere davvero, quando si devono spostare capitoli di bilancio magari per dare qualche risorsa a chi ha dovuto accettare flessibilità di lavoro e vita, si trova sempre qualche altra priorità. Forse sarebbe stato opportuno ricordare, ai tempi dell’approvazione del pacchetto, che la parole “flessibilità” funziona solo se è in rima con “possibilità”, altrimenti è tutt’altro: è una truffa. E questo è stato. Leggevo un articolo pubblicato sul Sole 24ore, nel quale, un famoso economista italiano, scriveva che oggi a trovare lavoro sono coloro che hanno un titolo di studio basso. Ma come è possibile, se siamo cresciuti con una sola ed unica certezza, in mezzo a tanti dubbi, ovvero che era “importante studiare”, e che se si studiava e si ci rompeva la schiena sui libri, se si ascoltavano professori noiosissimi, se si integravano gli studi con ulteriori occasioni di formazione, alla fine ci si sarebbe trovati in tasca quel piccolo tesoro tanto ambito, quella preziosa pergamena, rincorsa da tanti. La laurea. Da giovane laureato a questo punto, leggendo articoli del genere o e soprattutto vedendo come le cose continuano ad andare qui da noi, al sud in particolare, mi sembra che in Italia studiare sia una colpa, quasi un vizio che viene fatto pagare salatissimo. La laurea probabilmente è ormai davvero solo e soltanto un pezzo di carta. Forse sarebbe il caso di dirlo a chi ha adesso 15 anni :<<vai in officina>> , in <<bottega come garzone>>, non all’università. Io però, come tanti, non avrei il coraggio di dare a nessuno un consiglio del genere. Anche perché penso che dalla formazione, e solo da quella, possano nascere mille occasioni per il nostro paese. La ricerca scientifica, ancor più di quella avanzata, potrebbe senz’altro essere motore di sviluppo e crescita. La stessa formazione universitaria potrebbe comunque essere un’uguale fonte di risorse se riuscissimo a dare una bella scrollata alla nostra economia e alla nostra società, se rendessimo tutto più nuovo, aperto, tecnologico, attraente,dinamico, innovativo (politica e politici compresi). E forse se non stessimo sempre a rimpiangere quel bel mondo, semplice e rassicurante che oramai, per fortuna, fa parte del passato, forse ci accorgeremo che qui, nella patria dell’arte e dello stile, avremmo qualcosa da dire su creatività ed inventiva. Chi studia i trend globali sa benissimo che l’Italia ha tutte le carte in regola per essere protagonista nell’economia della creatività, delle nicchie, del gusto. Il problema è, però, che proprio coloro che risultano portatori di tale capacità ed innovazione, quelli che si muovono a proprio agio nel mondo moderno, la generazione più “specializzata” che l’Italia ha mai avuto, è invece tenuta in formalina tra disoccupazione e precarietà senza tutele. Chi dovrebbe proporre uno svecchiamento, un ammodernamento, un “upgrading” a questo paese è tenuto per la gola sul posto di lavoro, costretto a stringere la mordacchia per ingraziarsi i superiori che decideranno del suo destino. Siamo noi, le nuove generazioni alla quale deve essere data la possibilità di spingere sull’acceleratore del futuro. Anche perché, ad essere onesti e sinceri, questo paese ha un debito pubblico certo, ma anche un debito morale nei nostri confronti. Accade a volte che qualcuno ha anche il coraggio di chiedersi: ma dove sono i giovani? Perché non si fanno sentire? Perché neanche fiatano? Io mi ricordavo un’altra cosa. Mi ricordavo che: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”. Non ci rimane altro che domandare a tutti noi: quale avvenire ha un albero che, per alimentare i propri rami, frena lo sboccio di nuove foglie?”. In bocca al lupo a tutti, lavoratori e disoccupati.

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