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Dobru, il violinista che suona la sua vita
COSENZA – La vita suona all’angolo della strada. Cosenza, come tutte le città meridionali e non, è diventata, nel corso degli ultimi anni,
la meta preferita di carovane di romeni, in cerca di un Eldorado da inseguire. Le strade del centro cittadino, ma anche i vicoli più bui della periferia, sono piene di mendicanti, appoggiati come sentinelle, agli angoli delle vie, in cerca di elemosina. Da qualche giorno, rimbalzando da Cosenza a Rende e viceversa, in tanti hanno notato un uomo, dal finisco minuto, coperto nel suo vestito extralarge, che suona il violino. Stamattina, ha scelto la trafficata piazza XI Settembre, per mettere su uno spettacolo. Le sue sviolinate hanno richiamato l’attenzione dei passanti, alcuni si sono fermati per ascoltarlo suonare, lasciando anche un obolo come segno di assenso, altri, invece, hanno preferito tirare diritto. Come dire “la musica” in questo periodo è stonata per tutti. Osservandolo con la collega Katia Grosso, abbiamo notato la padronanza delle sue mani nel far vibrare con l’arco, le corde del suo violino. Alla fine del suo concertino, davanti ad un caffè decide di raccontarsi. La sua carta d’identità dice che ha sessantanni, ma i segni della stanchezza e della fame sul viso, gliene danno molti di più. Decisamente. Il suo nome è quasi impronunciabile. Troppo lungo da scrivere, troppo complicato perfino da pronunciare. Anche lui lo sa, ed è per questo che ha scelto un nomignolo Dobru, per farsi chiamare. I suoi occhi sono spenti, hanno visto troppo dolore. Così come anche il suo fisico, è minuto. Quel vestito che indossa, lo porta con disinvoltura, anche se continuamente cerca di trattenere il pantalone dalla cintura che vuole scivolare via. Dobru, sorseggia il caffè, accompagnato da un cornetto e prima di parlare, butta giù due bicchieroni d’acqua. “Le mie corde vocali non sono più quelle di una volta – la gola mi si secca subito e, a volte – dice – faccio anche fatica a respirare”. mentre parla, apre il portafoglio e ci mostra delle fotografie. Immagini che immortalano un passato che è ormai ingiallito, come le sue foto. Le foto raccontano di un uomo, ben vestito con in mano il suo violino. E’ in una piazza, una delle tante che ha girato nella sua Romania. “Avevo un complesso: violino, chitarra e fisarmonica, identità musicali delle etnie balcaniche. Eravamo famosi, facevamo concerti ed eravamo spensierati. Poi la guerra, il regime di Ceaucescu, la povertà, la fame, l’emigrazione di massa, hanno dettato le nuove regole e anche per noi la felicità è finita”. I suoi occhi, d’improvviso s’inumidiscono, facendo riaffiorare ricordi ancora seppelliti sotto le macerie della sua esistenza di un tempo. “Se non ci fosse stata la musica, non ce l’avrei fatta. E’ da sempre la mia compagna di vita, la mia complice, il mio rifugio dalla tristezza. Suono da quando avevo sette anni. Inizia con la fisarmonica, poi un anziano mi insegnò a suonare il violino e non l’ho più lasciato”. Finita la chiacchierata, Dobru, rimette a posto le foto, conserva il portafoglio, apre la custodia del suo violino e si conta gli spiccioli: mancano 50 centesimo per arrivare a cifra tonda. Ora vado ad altra strada, poi a Rende e poi ancora nuova strada, fino a stasera”. Ciao Dobru, il violinista che suona la sua tristezza di una vita fa.
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