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Cosenza: la dirigenza impone il silenzio. Sì, dei colpevoli

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Cosenza: la dirigenza impone il silenzio. Sì, dei colpevoli

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COSENZA – Silenzio. La società della Nuova Cosenza Calcio ha deciso di imporre la legge del silenzio ai suoi tesserati.

Una decisione incomprensibile, soprattutto perchè, credo che è nei momenti difficili che serve togliere gli attributi e parlare. Imporre il silenzio ed estenderlo a tutti, nessuno escluso, è un atteggiamento poco professionale. Qualche amante degli amarcord, dirà che con il silenzio stampa la Nazionale di Bearzot vinse i mondiali in Spagna, o altre squadre sono riusciti a raggiungere traguardi importanti. Altre epoche, altre storie, altro calcio, ma soprattutto altri calciatori. Sì, calciatori. Perchè come tifosi, come cronisti, come appassionati di calcio o semplicemente come semplici sportivi possiamo avercela con la dirigenza, con l’area tecnica e perfino con l’allenatore. Ma poi la domenica, in campo, vanno i calciatori, perchè loro hanno scelto di giocare a pallone, perchè loro hanno accetato di sposare il progetto Cosenza, perchè loro hanno deciso di vestire il rossoblù. Non voglio con questo offrire un alibi alla dirigenza. Il duo Guarascio-Quaglio ha tante colpe, alcune anche imperdonabili. Una su tutte; pensare di fare calcio, vincere un campionato, senza sborsare quattrini, ma solo qualche spicciolo. E’ ridicolo, sentir dire che si è perso perchè il campo non ha permesso ai Lupi di giocare palla a terra, così come è oltremodo offensivo per l’intera tifoseria cosentina, avanzare comne alibi l’assenza, seppur importante di Manolo Mosciaro. Una squadra che punta a vincere un campionato, deve essere forte con tutti e contro tutti. La differenza che separa il Cosenza e il Messina, non solo solo i sei punti di stacco (recuperabili solo se i Lupi vogliono veramente fare sul serio, ndr), ma è anche legata ad altro. Quando i peloritani hanno deciso di puntare alla promozione, attraverso il consolidamente in classifica del primo posto, il primato, non solo l’hanno stretto con i denti, lottando per la maglia dal primo fino all’ultimo secondo dell’estra-time, ma anche la società ha fatto la sua parte, corteggiando giocatori che dopo nemmeno due ore dal primo incontro, sono stati subito tesserati e altrettanto frettolosamente gettati nella mischia. A Cosenza, no. La dirigenza, ad un certo momento, s’è anche abilmente defilata, dribblando con finte alla Maradona, tifosi, giornalisti e perfino gli stessi giocatori. L’area tecnica, attraverso il suo faro, Stefano Fiore, continua a ribadire, fino alla noia, che il rapporto con la proprietà è cambiato, che le incomprensioni dello scorso campionato sono solo un lontano ricordo, che la voglia di contribuire alla rinascita del calcio cosentino è tanta. Non ho motivo di dubitare delle parole di Stefano Fiore, ma le dichiarazioni rassicuranti dell’ex fantasista di Lazio, Cosenza, Parma, Siviglia e della Nazionale, oggi dicono altro. Dicono che all’interno della società forse queste incomprensioni o, meglio dire, divergenze di vedute, non si si sono mai appianate. Perchè? Cosa rallenta la condivisione di un progetto comune? Ovviamente non è dato saperlo. Non ci si può meravigliare e scandalizzare se allo stadio i paganti sono poco più di un migliaio. Se la squadra avesse avuto maggiore personalità, oggi il Cosenza sarebbe al posto del Messina e forse il campionato l’avrebbe vinto con largo anticipo. No. Non è andata così. Perchè questo maldetto campionato, sembra identico a quello dello scorso torneo, quando il Cosenza, sempre affetto dalla sindrome, a questo punto comincio a sospettare che è una patologia inguaribile, di essere vittima e carnefice di se stesso, buttò all’aria la promozione, regalandola con una serie di partite cervellotiche e black-out mentali e tecnici, ai cugini dell’Hinterreggio che hanno accettato il regalo e salutato questo schifo di categoria. Ora domani si assisterà alla contestazione dei tifosi, quelli veramente arrabbiati, quelli delusi, quelli mortificati da un manipolo di calciatori che ha tradito la maglia. Poi verrà fuori l’aspetto psicologico e la fragilità dei giocatori che prepareranno la prossima partita con le gambe che tremano, la tensione alle stelle e la paura di essere seppelliti dai fischi e dagli sfottò. Credo che da qui alla fine del campionato, serva, se si vuole davvero tentare di recuperare i punti e “agguantare” il primato, giocare con il coltello tra i denti, giocare da Lupi. Ma i Lupi di oggi, in campo, sembrano degli agnelli, pronti a farsi sbranare anche dal più innocuo degli avversari. Ieri qualche giocatore ha detto, commentando il perfetto harakiri dei 90′, il Noto sembrava il Cosenza. Ha avuto ragione. Ieri il Cosenza ha permesso ad un avversario di tornare a respirare aria di salvezza. Tre gol che pesano come macigni, soprattutto perchè venuti, non da azioni spettacolari di Accetta, Pignatta o Imeri, ma da due colossali regali che la difesa silana ha deciso di fare. E ovviamente di fronte a questi regali, non si può non approfittare. Al di là di tutto, forza Lupi. Sempre. E speriamo bene.

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