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Le foto osé di Iannicelli sul cellulare, i retroscena del delitto di Cocò Campolongo (VIDEO)

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Le foto osé di Iannicelli sul cellulare, i retroscena del delitto di Cocò Campolongo (VIDEO)

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Voleva pentirsi, ma non l’aveva ancora comunicato agli inquirenti.

 

COSENZA – ‘Topo’ e ‘Panzetta’, all’anagrafe Cosimo Donato e Faustino Campilongo avrebbero incendiato i cadaveri di Cocò Campolongo, Giuseppe Iannicelli e della compagna Ibtissam Touss. Donato, 38enne di Castrovillari, e Campilongo, 39enne di Cassano, entrambi pregiudicati e già ristretti nel penitenziario di Castrovillari, avrebbero così agevolato di fatto la cosca Abbruzzese che vedeva Iannicelli come uno scomodo nemico da annientare. Un’immagine che lo stesso Iannicelli aveva ben chiara e per ‘accortezza’ avrebbe usato il nipotino e la compagna come scudo, portandoli con sé ad ogni appuntamento ‘sospetto’. Il bimbo era stato affidato alle cure del nonno in quanto la madre Antonia, figlia di Iannicelli, si ritrovava all’epoca ristretta in carcere accusata di spaccio di eroina.

 

L’ultimo appuntamento che lo portò nelle campagne di Cassano insieme alla compagna e al piccolo era in realtà una trappola. Un finto incontro nel corso del quale i suoi sodali avrebbero dovuto consegnargli il denaro di una partita di droga fornita da Iannicelli e già distribuita ai pusher al dettaglio. Nella zona rurale alla periferia di Cassano dove venne ritrovata l’auto carbonizzata, con i tre cadaveri crivellati a colpi di arma da fuoco, prima e dopo il delitto erano presenti Donato e Campilongo. Il cellulare della ventisettenne marocchina fu poi trovato la sera del delitto in mano alla figlia di Donato, fidanzata con il figlio di Iannicelli (Giuseppe Junior). Ad accorgersene fu proprio il ragazzo che vide una foto del padre nudo sul monitor. Insospettito dal vedere il padre ritratto in una particolare posizione a sfondo sessuale sul cellulare della fidanzata, sospetta sin da subito che si tratti in realtà del telefono della compagna marocchina di Iannicelli.

 

Non si esclude che i due, che dovranno rispondere di omicidio premeditato e distruzione dei corpi, possano essere stati anche gli esecutori materiali del delitto cui mandante dovrà essere individuato, secondo gli inquirenti, tra i vertici del clan Abbruzzese. Un delitto tipicamente mafioso come testimonia quella moneta da cinquanta centesimi gettata sull’auto ormai distrutta dalle fiamme. Iannicelli infatti pare fosse da anni dedito al traffico di stupefacenti nella sibaritide, prima insieme alla cosca Abbruzzese poi, dopo la faida di Cassano, passò tra le fila dei rivali, gli ‘italiani’, ovvero i Forastefano. Uno sgarro a cui si aggiunsero le indiscrezioni della volontà del 52enne di collaborare con la magistratura. Un ‘pentimento’ cristallizzato in una lettera ai familiari, espresso in un colloquio con la moglie e comunicato anche al fratello, ma di cui non fu mai data notizia ufficiale agli inquirenti.

 

Ma c’è di più. Iannicelli aveva osato rompere il monopolio degli ‘zingari’, degli Abbruzzese. Grazie alla sua lunga esperienza sul campo Iannicelli pare infatti fosse riuscito ad aprire autonomamente un canale di approvvigionamento e una sua rete autonoma di vendita. Il suo destino era già segnato. Sarebbe stata solo una questione di giorni. Forse però il giovane nonno non immaginava che ad incastrarlo sarebbero stati proprio i suoi ‘dipendenti’ che quel giorno segue senza opporre alcuna resistenza. Donato e Campilongo da quanto emerso dalle indagini erano i referenti per la vendita di stupefacenti nei territori di Firmo, Lungro ed Acquappesa e avevano contratto con Iannicelli diversi debiti mai saldati e intendevano allontanarlo al fine di gestire per proprio conto la vendita delle droghe. Le indagini non sono ancora chiuse. Le ultime intercettazioni captate in carcere e tradotte con estrema difficoltà, visto che i detenuti parlano tra loro arbereshe, rivelano la disperazione di Donato per una pistola di cui si sono perse le tracce: ”spero che la trovino se no mi faccio 30 anni”.

 

Ad ora però non è possibile sapere se si tratti della calibro 7.65 usata per sparare ai tre. Quello che è certo come affermato dal procuratore capo della DDA di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo è che dopo esser stati uccisi a colpi di pistola “i corpi sono stati sistemati nell’autovettura, il bimbo e il nonno nell’abitacolo e la ragazza nel cofano. Non abbiamo elementi ad oggi nè per dire che hanno sparato nè per dire che non hanno sparato. Siamo sicuri che loro erano sul luogo del triplice omicidio. La sera delitto si presentano in piazza e il figlio di Iannicelli (Giuseppe Junior) che aveva chiesto insistentemente alla sua fidanzatina (figlia di Cosimo Donato) dove fosse il padre li cercava sapendo che erano due suoi amici e notò che puzzavano di benzina. Giuseppe Iannicelli Junior collega ciò alla colonna di fumo che aveva visto prima della mezzanotte a Cassano da casa sua che dista in linea d’aria due chilometri dal luogo del ritrovamento dei corpi”.

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