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Il suicidio della Germanese: un mistero come quel carico di “neve”

COSENZA – Cronaca di un mistero. Irrisolto. Il giallo in questione, dai contorni decisamente poco chiari, è quello relativo al suicidio di Fabrizia Germanese,

l’ispettore della polizia penitenziaria, 44enne di Malito, impiccatasi nel carcere di Castrovillari, dov’era stata reclusa per via di quell’arresto, con l’accusa di essere un corriere della droga. L’arresto della Germanese, descritta da tutti come un tutore dell’ordine senza macchia sul suo stato di servizio, avvenne, il primo giugno del 2008. Gli agenti della squadra Mobile di Cosenza, all’epoca coordinati dal vicequestore aggiunto Fabio Ciccimarra,l’arrestarono per quel borsone con nove chili d’eroina, provenienti dall’Albania, nascosti nel bagagliaio della sua auto. I detective della narcotici la tenevano d’occhio da tempo, per via di quei frequenti viaggi nella terra degli schipetari. L’intuizione degli inquirenti fu vincente, tanto che quando venne fermata per un controllo, dal portabagaglio della sua auto, saltò fuori la “neve”-. L’ispettrice manifestò tutta la sua meraviglia per quel carico di droga, disse solo che un amico del fidanzato,le aveva messo quel borsone nell’auto, chiedendole di portarlo in Italia. Le sue giustificazioni, però, non le evitrono l’arresto. La 44enne, dopo il trasferimento negli uffici di via Frugiuele, venne accompagnata nella sezione femminile del carcere di Castrovillari, dove, appena 24 ore dopo il suo arresto, si tolse la vita. Per quel suicidio è in corso di svolgimento un processo che, vede imputate, tre agenti donne della polizia penitenziaria, ree secondo l’accusa di non aver vigilato a dovere la detenuta “eccellente”. Alla 44enne, infatti, i colleghi lasciarono tenere i lacci delle scarpe, quelli stessi lacci con cui la Germanese s’impiccò. Ieri in aula è stato ascoltato, come persona informata sui fatti, il direttore del carcere Filiberto Benvenuto che, per pura combinazione, in quei giorni di detenzione della Germanese era in servizio presso il penitenziario castrovillarese, per sostituire il suo collega pari grado. Il direttore del carcere, dopo aver parlato della figura di Fabrizia Germanese, ricordandone il suo stato di servizio “immacolato”, ha parlato del suicidio dell’ispettrice, avanzando due possibili concause: il personale ridotto in servizio e il troppo lavoro. La procura, inoltre, ha lavorato anche sulla ricostruzione del suicidio, sui tempi di allerta dei soccorsi, sulla scoperta del cadavere e sulla mancata “sorveglianza” a vista della detenuta “eccellente”. Tra gli atti dell’indagine, infatti, emergono dei dati che non combaciano. le agenti di turno, in servizio il giorno del suicidio, ascoltate subito dopo la scoperta del cadavere della 44enne, dissero di non aver perso di vista la loro collega, se non per un paio di minuti, giusto quando la Germanese andò in bagno. Una testimonianza, smontata dalla relazione medico-legale dell’anatomopatologo Raffaele Mauro che, in base ai riscontri autoptici, accertò che il suicidio di Fabrizia Germanese, era avvenuto almeno due ore prima del suo ritrovamento. Tempi, momenti, orari che non coincidono e sui quali si dovrà fare chiarezza. Ora il processo è stato fissato al 5 marzo, quando toccherà agli avvocati di parte civile, Ornella Nucci e Francesco Cribari, penalisti del foro di Cosenza che assistono i familiari della poliziotta, prendere la parola. Si tornerà in aula, per continuare a parlare del suicidio dell’ispettrice e se quella morte poteva essere evitata. Sulla droga, sul narcotraffico e sul perchè avesse in auto quel borsone carico di nove chili di “neve”, continuerà a essere mistero. Fitto e irrisolvibile.

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