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Passeggiata antiracket: Cosenza c’è
COSENZA – Quando la passeggiata, diventa un successo. E’ andata bene la passeggiata antiracket che ha visto la “carovana” dello Stato camminare per la città, al fianco delle associazioni che si battono per la
legalità e i commercianti. A testa del corteo il prefetto di Cosenza, Raffaele Cannizzaro, con due ospiti d’onore: Armando Caputo e Rocco Mangiardi, entrambi di Lamezia Terme, rispettivam,ente, presidente dell’Associazione antiracket il primo e icona della lotta all’arroganza dell’Antistato il secondo. In marcia cnhe il colonnello Francesco Ferace, comandante provinciale dell’Arma, nonchè, il questore Alfredo Anzalone e il sondaco Mario Occhiuto. Assente Tano Grasso, fermato dalla febbre. Il corteo, partito da piazza Bilotti, ha percorso via Alimena, ricevendo i consensi dei cittadini e dei commercianti. Felice per l’andamento della giornata il presidente dell’associazione antiracket. “Oggi anche Cosenza ha dimostrare si può sconfiggere. Certo, serve continuiare a lavorare, inculcando ancor di più la mentalità che insieme ce la possiamo fare”. Armando Caputo fa un parallelo tra due manifestazioni avvenute a Coseza: “La prima passeggiata, la facemmo a Pasqua, la partecipazione fu interessante, ma non piena. Oggi per fortuna è successo il contrario. Semplici cittadini, piccoli e grandi titolari di attività commerciali c’hanno manifestato la loro vicinanza, interessandosi anche alla nostra azione. Vorrei che il fenomeno dell’antiracket di Lamezia, partito tra mille difficoltà e altrettanti intoppi, naturalmente da parte di chi, vuole “affossare” la legalità e quella parte sana, ribelle, di cittadini che non vogliono rassegnarsi al potere dell’Antistato”. Gli fa eco Rocco Mangiardi. Lui è il simbolo dell’antiracket. “Sono Rocco Mangiardi e sono un piccolo commerciante di Lamezia Terme. Ho un negozio di autoricambi in via del Progresso, la via commerciale principale della città. La mia storia con il racket inizia, grosso modo, nel 2006. Negli anni precedenti avevo avuto solo avvisaglie, grosse avvisaglie che mi erano costate molto, ma poi era tutto rallentato perché c’erano in corso guerre da cosche ed avevano altro a cui pensare. Nel 2006 vengono alcuni individui che già frequentavano la mia attività, il mio magazzino e mi chiedono di non dare più credito a nessuno perché, pagando una tangente di 1200 euro al mese, avrei risolto tutti i miei problemi. Mi dissero di dare questo pensierino a Pasquale Giampà che era il reggente del clan Giampà, qui a Lamezia Terme. Questa zona era sotto la sua tutela.” Pagare questa cifra per me voleva dire chiudere questa attività e mandare a casa i ragazzi che lavorano con me. Sono entrato in contatto con l’associazione antirakcet di Lamezia Terme (ALA) ed ho ritenuto opportuno iniziare a collaborare con le forze dell’ordine. Ci sono state delle intercettazioni e poi gli arresti di quattro persone, tra cui Pasquale Giampà. L’incontro con il boss Giampà l’ho avuto quando, un suo conoscente mi ha chiesto di andare ad incontrarlo per patteggiare l’estorsione di 1200 euro al mese. Cercavo di prendere tempo. Ho chiesto se si poteva rivedere questa somma perché non ero in grado di pagare ed ho proposto 250 euro al mese. Questo signore mi ha risposto che in via del progresso pagano tutti dalla A alla Z e non chiede l’elemosina. Sono arrivato a testimoniare in aula perché con molta probabilità, il boss Giampà, non richiedendo il rito abbrevviato pensava che io mi tirassi indietro e che non andassi a testimoniare. Cosa che non è successa. Ho avvertito questa sua non richiesta di rito abbrevviato come una sfida. Credo che lui abbia fatto questo perché credeva fermamente che io non avessi il coraggio di andare a testimoniare. Cosa che non è successo. L’estorsione è comunque una fonte di guadagno, non è la più grossa ma sono sempre soldi. Chiedere un’estorsione ad un piccolo commerciante come me, gli serve come monito per far capire alla gente ed ai miei colleghi commercianti che qua comandano loro. Vogliono sottomettere la gente, comandare, guadagnare ed avere le mani in tutte le attività economiche della zona”.
L’APPELLO – “Vorrei dire che spero che i genitori la smettano di dire ai propri figli che il futuro lo cambieranno loro. Il futuro, lo si cambia insieme, non possiamo delegare ai nostri figli il problema della ‘ndrangheta”.
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