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Imprenditori e prestanome, 10 misure cautelari e 50 milioni di beni sequestrati

Calabria

Imprenditori e prestanome, 10 misure cautelari e 50 milioni di beni sequestrati

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L’operazione della Guardia di finanza ha colpito numerosi imprenditori e prestanome. Complessivamente sono 16 le persone indagate nell’inchiesta

 

CATANZARO – Operazione questa mattina dei finanzieri di Catanzaro, coordinata e diretta dalla Dda di Catanzaro per l’esecuzione per l’esecuzione di 10 ordinanze cautelari e il sequestro preventivo di beni per un valore di oltre 50 milioni di euro nei confronti di alcuni imprenditori catanzaresi e dei loro prestanome. Sono accusati, a vario titolo, di concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, trasferimento fraudolento di valori aggravata dall’avere agevolato la ‘ndrangheta gli indagati dell’operazione condotta dai finanzieri del Comando provinciale di Catanzaro coordinati dalla Dda.

Una persona è finita in carcere, l’imprenditore Giuseppe Lobello, di 50 anni, di Simeri Crichi, che sarebbe stato legato alla cosca degli Arena di Isola capo Rizzuto, per conto della quale, avrebbe fatto da intermediario con alcuni imprenditori sottoposti ad estorsione per lavori svolti nel catanzarese, raccogliendo anche il denaro dalle vittime per consegnarlo ai vertici del clan.

Complessivamente sono 16 gli indagati. Ai domiciliari sono stati posti Antonio Lobello (71), Daniele Lobello (46), Francesco Iiritano (30), Domenico Rotella (42), Anna Rita Vigliarolo (43) e Vincenzo Pasquino (59). Sono stati sottoposti alla misura interdittiva del divieto temporaneo a esercitare la professione di ragionieri, consulenti e commercialisti per un anno Pasquale Torchia (43), Pasquale Vespertini (38) e Vitaliano Maria Fulciniti (43). I finanzieri hanno anche sequestrato imprese e beni delle aziende: Strade Sud srl di Simeri Crichi, Trivellazioni Speciali srl di Botricello, Marina Café Srls di Catanzaro, Consorzio Stabile Genesi di Catanzaro, Consorzio Stabile Zeus di Simeri Crichi.

I dettagli dell’operazione “Coccodrillo”

Avevano ottenuto una posizione dominante nell’esecuzione di lavori edili e forniture di calcestruzzo su Catanzaro e provincia, nonché la protezione da interferenze estorsive di altri gruppi criminali, quale imprenditore “intoccabile”, grazie allo stretto legame con esponenti della cosca Arena di Isola Capo Rizzuto e con altre consorterie operanti sulla fascia ionica-catanzarese.

Sono i dettagli dell’inchiesta “Coccodrilloche ha colpito il gruppo imprenditoriale Lobello. L’indagine avrebbe evidenziato gravi indizi a carico degli imprenditori catanzaresi Antonio, Giuseppe e Daniele Lobello per diversi reati di intestazione fittizia di beni, realizzati grazie ad un sistema di società, formalmente intestate a terzi e tuttavia controllate e gestite dagli stessi, al fine di sottrarre il proprio patrimonio all’adozione di prevedibili misure di prevenzione antimafia.

Gli imprenditori avrebbero nutrito il concreto timore di sequestri da parte delle forze dell’ordine delle società del gruppo, essendo emersi, più volte, a livello giudiziario, i loro rapporti con cosche di ‘ndrangheta, tanto che alcune loro società sono state attinte da interdittive antimafia emesse dalla Prefettura di Catanzaro (Cal.bi.in., Cantieri edili – iniziativa 83 e Strade sud).

Le investigazioni, che si sono avvalse anche delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia e di intercettazioni, avrebbero evidenziato, oltre al legame mantenuto nel tempo dalla famiglia Lobello con il clan Mazzagatti di Oppido Mamertina (Reggio Calabria), anche il rapporto con il clan Arena di Isola Capo Rizzuto e altre cosche del crotonese, tra cui quella riconducibile a Nicolino Grande Aracri.

In particolare a Giuseppe Lobello viene contestato di avere svolto, per la cosca Arena, la funzione di collettore delle estorsioni imposte ai cantieri edili del catanzarese. A Lobello, portato in carcere, è stato perciò contestato anche il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Ai domiciliari sono finiti Antonio e Daniele Lobello, rispettivamente padre e fratello di Giuseppe, e la stessa misura è stata disposta nei confronti di quattro soggetti, tra dipendenti del Gruppo Lobello e intestatari fittizi delle società. Dalle indagini è emerso, anche, un episodio di estorsione nei confronti di un lavoratore costretto ad auto licenziarsi contro la sua volontà da una società fittiziamente intestata a un prestanome, per incomprensioni sorte sul luogo di lavoro con i familiari di Giuseppe Lobello.

 

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