Calabria
VIDEO – Imprenditori contigui alla ‘ndrangheta, maxi sequestro da 200 milioni
Il sequestro da parte della Guardia di Finanza, dei Carabinieri e degli uomini della Dia, riguarda il patrimonio illecito accumulati da 4 imprenditori edili reggini contigui alle cosche di ‘ndrangheta. il sequestro riguarda l’intero compendio aziendale
REGGIO CALABRIA – Un patrimonio da oltre 200 milioni di euro illecitamente accumulati e riconducibili ai noti imprenditori edili reggini Andrea Francesco Giordano 69 anni, Michele Surace 62 anni, Giuseppe Surace 35 anni e Carmelo Ficara 63 anni, indiziati di appartenenza/contiguità alle note cosche di ‘ndrangheta reggine dei “Tegano” e “De Stefano”. Stamattina i militari dei Comandi Provinciali della Guardia di Finanza e dei Carabinieri di Reggio Calabria, unitamente a personale del locale Centro Operativo della Direzione Investigativa Antimafia, e del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata della Guardia di Finanza, con il coordinamento della locale Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, diretta dal Procuratore Capo Giovanni Bombardieri, stanno eseguendo il sequestro dei beni. Nel mirino compendi societari, beni mobili e immobili, nonché rapporti finanziari per un valore complessivo stimato superiore a 200 milioni di euro riconducibili a noti imprenditori indiziati di appartenenza/contiguità alle più importanti cosche del capoluogo nonché ai rispettivi nuclei familiari. Il sequestro riguarda l’intero compendio aziendale di 20 imprese/società commerciali edili (comprensivo, altresì, quote sociali, 172 immobili e 9 veicoli), quote societarie relative a 10 imprese, n. 284 tra fabbricati e terreni, n. 4 veicoli, nonché disponibilità finanziarie e rapporti bancari/assicurativi, per un valore stimato in oltre 200 milioni di euro.
Tutti gli imprenditori erano stati tratti in arresto, in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa su proposta della Procura della Repubblica DDA di Reggio Calabria nell’ambito dell’operazione “Monopoli” scattata ad aprile del 2018 e condotta dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria. I 4 erano stati raggiunti da provvedimenti restrittivi personali per i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, trasferimento fraudolento di valori e autoriciclaggio. Già lo scorso anno era state effettuati sequestri di imprese e società, beni mobili e immobili, per un valore complessivo stimato in 50 milioni di euro.
Le fortune “illecite” dei due imprenditori
Le indagini, avviate nel febbraio 2017 dai militari del Nucleo Investigativo, hanno fatto luce su un sistema di cointeressenze criminali, coltivate da imprenditori reggini che, sfruttando l’appoggio delle più temibili cosche cittadine, erano riusciti ad accumulare, in modo del tutto illecito, enormi profitti prontamente riciclati in fiorenti e diversificate attività commerciali. Le risultanze investigative hanno consentito di appurare come gli imprenditori Andrea Giorano e Michele Surace, quest’ultimo coadiuvato dal figlio Giuseppe, sfruttando l’appoggio delle cosche cittadine, fossero riusciti ad accumulare, in modo del tutto illecito, enormi profitti prontamente riciclati attraverso diverse attività commerciali – tra le quali l‘unica Sala Bingo presente nel comune di Reggio Calabria, attività gestita in regime di “monopolio” in virtù di precisi accordi stipulati con esponenti apicali della famiglia “Tegano” di Archi, nonché reimpiegando ingentissime quantità di denaro per lo più nel settore edile, grazie alla costituzione di svariate società fittiziamente intestate a compiacenti prestanome.
Gli inquirenti, avvalendosi anche delle rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia, hanno delineato il profilo di Giordano e Surace quali affiliati di lunga data ai “Tegano” di Archi in contatto, in particolare, con il boss 80enne Giovanni Tegano attualmente detenuto. Ulteriori approfondimenti investigativi hanno permesso di ricostruire le fortune del duo imprenditoriale che hanno preso il via dall’attività di costruzione di fabbricati nell’edilizia residenziale. Infatti, verso la fine degli anni ’90 avevano realizzato il complesso residenziale “Mary Park”, fabbricato che successivamente ospiterà i locali dell’unica sala bingo cittadina, oltre a numerose villette a schiera, in cui era stata riservata la disponibilità di un appartamento a Giuseppe Tegano, fratello del boss Giovanni. Nel tempo, il rapporto sinallagmatico con la cosca, ha garantito ai due imprenditori un eccezionale sviluppo economico. In tale contesto, gli accertamenti effettuati hanno permesso di documentare il reimpiego dei proventi illeciti della cosca in diversificate iniziative imprenditoriali affidate a Surace e Giordano, divenuti nel tempo un tassello fondamentale del sistema di riciclaggio e reinvestimento dei proventi illeciti della “famiglia”.
Il patto con i De Stefano
All’imprenditore Carmelo Ficara, invece, viene contestato di concluso un patto con lo storico sodalizio criminoso reggino dei De Stefano, in cambio del quale avrebbe ottenuto protezione e possibilità di sviluppo imprenditoriale ed edificatorio, soprattutto nel territorio di Archi.
I nomi di Giordano, Surace e Ficara emergono anche nll’operazione Martingala, condotta dalla D.I.A. e dal G.I.C.O. del Nucleo di Polizia economico finanziaria di Reggio Calabria, con il coordinamento della DDA, nei confronti di un articolato sodalizio criminale dedito alla commissione di gravi delitti tra cui – a vario titolo – quelli di associazione mafiosa, riciclaggio e autoriciclaggio, associazione a delinquere finalizzata all’emissione di false fatturazioni, con l’aggravante – per alcuni di essi – del metodo mafioso – e conclusa nel 2018 con l’esecuzione di provvedimenti restrittivi personali nei confronti di 27 persone, nonché di provvedimenti cautelari reali nei confronti di 51 società – anche estere – partecipazioni sociali, beni mobili e immobili, disponibilità finanziarie per un ammontare complessivo stimato in circa €. 119.000.000.
In tale contesto, è stato delineato un illecito sistema – “Sistema Scimone” – dal nome del suo ideatore e promotore Antonio Scimone che, attraverso l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti – grazie all’impiego di società cartiere – era funzionale alla consumazione di frodi fiscali e di riciclaggio, nonché al reimpiego di imponenti flussi finanziari provenienti da imprenditori espressione dell’infiltrazione economica della ‘ndrangheta. Al riguardo, dopo aver delineato il profilo di pericolosità sociale qualificata dei proposti, anche valorizzando le risultanze delle pregresse indagini, la pertinente attività investigativa è stata indirizzata alla ricostruzione delle acquisizioni patrimoniali, dirette o indirette, effettuate nell’ultimo trentennio, accertando- attraverso una complessa, articolata e minuziosa attività di accertamento e riscontro documentale – i patrimoni dei quali gli imprenditori risultavano disporre, direttamente o indirettamente, il cui valore era decisamente sproporzionato rispetto alla capacità reddituale dichiarata ai fini delle imposte sui redditi, nonché le fonti illecite dalle quali i medesimi avevano tratto le risorse per la loro acquisizione e, soprattutto, la natura mafiosa delle attività d’impresa svolte – nel tempo – dai proposti quali imprenditori espressione delle cosche di riferimento.
Dagli approfondimenti svolti è infatti emerso come gli imprenditori, inseriti nelle file della ‘ndrangheta reggina, avessero stabilmente e in maniera sistematica messo a disposizione nel tempo le proprie risorse economiche e capacità professionali, non solo a favore delle citate cosche Tegano e De Stefano – intessendo con questi un rapporto di florida e pluriennale collaborazione in una prospettiva di biunivoca utilità – ma anche a sostegno delle più importanti famiglie mafiose del capoluogo quali i Latella, Libri ed i Labate, nell’ottica dell’ormai riconosciuta unitarietà della ‘ndrangheta. Le investigazioni svolte, altresì, hanno consentito dì acquisire plurimi elementi di riscontro in merito a fittizie intestazioni di beni – architettate dai citati imprenditori con la complicità di familiari e terzi prestanome – per eludere l’applicazione dì misure di prevenzione patrimoniali, attraverso la costruzione di articolate strutture volte a schermare la titolarità di fatto di società e immobili costituenti un cospicuo patrimonio di provenienza delittuosa.
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