Cosenza
Cosenza, da una diagnosi di patologia della prostata alla morte: due medici rinviati a giudizio
Il caso di presunta malasanità si riferisce a fatti accaduti nell’anno 2017. Gli imputati adesso dovranno rispondere di imprudenza, imperizia e negligenza. Il paziente morì a causa di uno shock settico per infezioni
COSENZA – Non avrebbero dovuto differire l’intervento chirurgico e soprattutto trascorsi i 30 – 40 giorni il paziente non fu mai richiamato. Da una patologia curabile un uomo di 80 anni muore per shock settico a causa di sopraggiunta infezione correlata al catetere. Il fatto accade il 5 agosto 2017 presso l’ospedale civile dell’Annunziata. Ad essere imputati Francesco Ventura dirigente medico di secondo livello e Emilio De Giacomo in qualità di dirigente medico di primo livello dell’unità di Urologia dell’Annunziata di Cosenza. Secondo l’accusa i due medici in cooperazione colposa tra loro, con colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia, in violazione delle linee guida di Urologia, avendo avuto in affidamento e cura nel corso del ricovero avvenuto dal 27 maggio al 21 giugno 2017 il paziente, dopo aver preso atto della malattia farmacologica e dei cateterismi, nel mitigare e risolvere il quadro clinico del predetto nonché del rischio di malattie infettive correlate al catetere, differendo il paziente di 30 – 40 giorni dall’intervento in ragione di un quadro di insufficienza renale acuta non evincibile dagli esami di laboratorio, non impedivano la morte del paziente sopraggiunta per aggravamento del processo infettivo in atto ed in conseguenza shock settico.
In particolare De Giacomo dimetteva il paziente il 21 giugno procrastinando l’intervento chirurgico e omettendo di ricontattare il paziente per l’intervento stesso; Ventura in qualità di dirigente avendo la responsabilità dei malati e di impartire le direttive in ordine alla diagnosi, ometteva di verificare l’attuazione del predetto indirizzo terapeutico chirurgico nonché di contattare il paziente decorso il termine indicato
Le costituite parti civili sono rappresentate dagli avvocati Angelo Pugliese e Giuseppe Lanzino. Gli imputati: Ventura dall’avvocato Pierluigi Pugliese e De Giacomo dagli avvocati Romei e De Giacomo.
I FATTI
Secondo la denuncia presentata in Procura, l’uomo si recò al Pronto soccorso dell’Annunziata accompagnato dai familiari per sottoporsi ad una serie di esami. Venne ricoverato prima presso il reparto di medicina generale e poi in urologia per essere sottoposto ad una serie di consulenze. Nell’attesa dei risultati clinici rientrò a casa ma dovette ritornare per via delle difficoltà subentrate per urinare. Ricoverato, gli venne applicato un catetere vescicale e dopo 18 ore il 24 maggio venne dimesso. Si aggrava e il giorno dopo dovette tornare in ospedale. Durante la degenza presso il reparto di urologia, i medici furono concordi nel ritenere necessaria l’asportazione della prostata, consigliando il ricovero in una casa di cura per un periodo non inferiore ai 30 – 40 giorni per la stabilizzazione di alcuni parametri.
L’ottantenne venne ricoverato in una struttura privata, una residenza sanitaria assistenziale (Rsa). Durante il ricovero presso la clinica fu trasferito in ospedale il 21 giugno, 11 luglio e primo agosto. Il due agosto i familiari si recarono in clinica e il paziente fece notare una strana protuberanza addominale accompagnata da forti dolori. Due giorni dopo, il quattro agosto i sanitari della casa di cura constatarono la necessità di trasferire il paziente presso il Pronto soccorso dell’ospedale civile dell’Annunziata per l’aggravarsi delle condizioni di salute. Alla figlia dell’ottantenne fu chiesto dai medici del pronto soccorso chi fossero i colleghi che avessero preso in cura il padre in quanto erano stati posizionati in modo errato i cateteri.
Rientrata l’urgenza i sanitari rassicurarono i parenti del rientro del paziente presso la casa di cura, ma dopo pochi istanti lo stesso medico comunicò il rientro in tutta fretta dell’ottantenne in ospedale. Era il 4 agosto 2017: l’uomo rimase ricoverato in pronto soccorso fino al giorno dopo. I sanitari comunicarono alla famiglia che il paziente non poteva essere dimesso. Dopo poche ore si aggravò e con il passare del tempo le condizioni precipitano fino al momento in cui gli stessi sanitari dovettero comunicare che l’uomo non avrebbe superato la notte e quindi avrebbero potuto riportarlo a casa per accompagnarlo serenamente a miglior vita. L’ottantenne morì nella notte tra il 5 e il 6 agosto per shock settico.
I periti nominati dalla Procura Cavalcanti e Vercillo, per eseguire l’esame autoptico, riconobbero profili di responsabilità a diversi livelli del personale che ebbe in cura il paziente.
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