Il procuratore della Repubblica di Cosenza, Mario Spagnuolo in conferenza stampa è stato chiaro: “non si voleva depurare”
RENDE – Un impianto deputato alla depurazione e utilizzato per inquinare. Un disastro ambientale e uno scempio al quale stamattina è stata messa, almeno per ora, la parola fine con l’operazione Cloaca Maxima. Perchè le indagini proseguono. I sei soggetti raggiunti dalle misure interdittive sono accusati di diversi reati ambientali. Contro i gestori depuratore consortile Valle Crati ci sono prove mirate, ha dichiarato Spagnuolo: “Abbiamo fatto un’indagine complessa, difficile che ci ha portato ad un primo step estremamente significativo: contestiamo per la prima volta volta, e con ordinanze cautelari e sequestri, il 452 bis cioè il reato di inquinamento ambientale“.
“Un impianto di depurazione… usato per inquinare”
Spagnuolo ha spiegato che “tutti gli impianti di depurazione hanno dei bypass, per i casi di piogge intense e per avere la possibilità come nelle dighe di attivarli in caso di emergenza, ma l’utilizzo è regolamentato in termini precisi, da norme tecniche, e non è a discrezione delle persone. Qui alimentare il bypass significava non depurare, non si voleva depurare“. Sul piano delle misure adottate nei confronti degli indagati Spagnuolo ha commentato: “E’ stato comunque impedito a questi soggetti di continuare a delinquere”.
ASCOLTA le dichiarazioni del procuratore di Cosenza
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Le indagini avviate dopo un esposto
Le sei misure eseguite nell’ambito del blitz al depuratore consortile Valle Crati sito in c.da Coda di Volpe in Rende hanno riguardato gli operai e il loro coordinatore, raggiunti dalla misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria; per il direttore dell’impianto eseguita la misura interdittiva per 12 mesi di esercitare direzione tecnica di persone giuridiche e imprese per il delitto di inquinamento ambientale, depurati nel Fiume Crati.
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L’operazione frutto dell’attività investigativa del Nucleo Investigativo dei Carabinieri Forestali, scaturita nei mesi scorsi da un esposto presentato alla Procura di Cosenza. Poi mediante intercettazioni telefoniche è stato accertato che gli indagati, in concorso tra loro, dipendenti della Geko Spa, società incaricata della gestione dell’impianto di depurazione, scaricavano illegalmente un ingente quantitativo di liquami direttamente nel fiume usando due bypass, uno generale in testa all’impianto e uno posto a monte della sezione ossidativa. Da qui venivano sversati ripetutamente quantitativi di liquami, senza effettuare alcun tipo di trattamento depurativo.
LE INTERCETTAZIONI – VIDEO
Il livello di compromissione ambientale è stato confermato dai dati dell’Arpacal che evidenziano come il livello di escherichia coli nel punto di sversamento è superiore di quasi cento volte rispetto a quello misurato più a monte. Molto alti anche i paramenti relativi all’azoto ammoniacale, tensioattivi anionici B.O.D. e C.O.D. L’impianto dopo il sequestro è stato affidato ad un custode giudiziario nominato dal Gip, il quale ha ricevuto incarico di gestirlo senza causare alcuna interruzione del servizio. I particolari di tale operazione sono stati questa mattina resi noti durante una conferenza stampa tenuta presso la Procura della Repubblica dal Procuratore della Repubblica, Dott. Mario Spagnuolo.
