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Trote ‘mutanti’, radioattività e un sarcofago di cemento. Dubbi sull’inquinamento ad Amantea

Rifiuti interrati sin dal 1986 e un’elevata mortalità. Ancora sospetti sull’imprenditore che smantellò la Jolly Rosso

 

COSENZA – Enormi buche, profonde fino a venti metri, riempite con tonnellate di materiali tossici e radioattivi. Rifiuti interrati ripetutamente dal 1986 al 2009 sotto uliveti, coltivazioni di grano, avena, ortaggi e foraggio per il bestiame. Il tutto a ridosso del fiume Oliva con una certificata contaminazione estesa per diversi chilometri quadrati di terreni e acque sotterranee con evidenti pericoli per la salute dei residenti tra i Comuni di Amantea, Aiello Calabro, San Pietro in Amantea e Serra d’Aiello. Questo quanto accertato dalla sentenza della Corte d’Assise di Cosenza che si è pronunciata con l’assoluzione di tutti gli imputati (i proprietari terrieri Vincenzo Launi, Giuseppina Marinaro, Antonio Sicoli, Arcangelo Guzzo e l’imprenditore Cesare Coccimiglio). Un verdetto che il pm Maria Francesca Cerchiara ha impugnato nei giorni scorsi chiedendo di ricorrere in Appello per individuare i responsabili del disastro ambientale e dell’avvelenamento delle acque nella valle del fiume Oliva emersi nel corso del processo. Nello specifico si fa riferimento alla posizione dell’imprenditore oggi ottantaduennne Cesare Coccimiglio per il quale la pubblica accusa aveva chiesto una condanna a sedici anni di reclusione.

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Nell’atto in cui si chiede di ricorrere in Appello il pm rileva come Coccimiglio, noto per essere stato chiamato a smantellare e smaltire i fusti della nave Jolly Rosso spiaggiatasi sul lungomare di Amantea in località Formiciche nel dicembre del 1991, fosse l’unico a poter operare indisturbato nella zona grazie alla sua attività di produzione di calcestruzzo e movimentazione terra disponendo di ben 40 camion, 15 escavatori e circa un centinaio di operai. A lui furono affidati sia l’ammodernamento della strada provinciale 53 sia la ricostruzione della briglia di contenimento del fiume Oliva. E proprio in queste due zone oggetto di lavori pubblici commissionati al Coccimiglio sono emerse raccapriccianti ‘anomalie’. Le trote del fiume, adulte e giovani, presentano mutazioni morfologiche non riscontrabili in natura. Il livello di radioattività registrato è di 132 (il limite massimo è di 5,96 Bq/Kg), il più alto mai riscontrato in provincia di Cosenza dall’Arpacal che riguarda il Cesio 137 radionuclide di origine artificiale. Inoltre alla base dell’avambriglia nel 2010 fu notata la fuoriuscita di materiale oleoso e iridescente.

 

EFFETTI SULLA SALUTE UMANA

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EFFETTI SULLA SALUTE UMANA

Due uomini che erano soliti sostare in località Foresta, sotto la briglia del fiume Oliva, per pescare trote e anguille hanno contratto particolari patologie. Pur non essendo ancora attestato il legame tra il cancro ai polmoni che ha portato alla morte di Giancarlo Fuoco e la sarcoidosi polmonare, che ha costretto Alfonso Grandinetti a lunghe degenze presso l’ospedale San Raffaele di Milano, non si esclude che la presenza di 162mila tonnellate di rifiuti tossici nell’area possa avere ripercussioni sulla salute umana. Anzi. Il perito Brancati innanzi ai giudici ha confermato l’esistenza di “un pericolo attuale per la popolazione residente nei territori dei Comuni di Amantea e Serra d’Aiello dovuto alla presenza di contaminanti ambientali capaci di indurre patologie tumorali”.

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Le acque sotterranee del fiume Oliva infatti ancora ad oggi risultano inquinate a causa della mancata bonifica. Queste però entrano sistematicamente nella catena alimentare, insieme agli agenti tossici in esse presenti, in quanto destinate al consumo umano diretto, all’alimentazione di animali da allevamento e all’irrigazione di colture. Ma c’è di più. Nel distretto sanitario di Amantea (in particolare nelle aree più prossime ai siti inquinati della valle dell’Oliva) nel periodo compreso tra il 1992 e il 2009 si registra un eccesso statisticamente significativo di mortalità e ricoveri ospedalieri rispetto al restante territorio regionale per tumori maligni del colon, del retto, del fegato, degli organi genito urinari e della mammella.

I FANGHI FOSFORESCENTI E IL SARCOFAGO IN CEMENTO

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I FANGHI FOSFORESCENTI E IL SARCOFAGO IN CEMENTO

Coccimiglio scavava buche per poi ricoprirle con del pietrisco prelevato dal fiume Oliva. Il motivo, non ha mai inteso chiarirlo in sede dibattimentale. Ciò che è certo è che, casualmente, le sette zone in cui è stata certificata una gravissima forma di inquinamento del sottosuolo e delle acque circostanti si trovano tutte a poche centinaia di metri dall’azienda dell’imprenditore. Si tratta della proprietà Launi – Marinaro sulla sinistra del fiume oliva al confine tra i Comuni di Amantea e Serra Aiello (1100 metri quadri inquinati), località Foresta demanio fluviale (2500 metri quadri inquinati), località Foresta briglia, località Forestan Rilevato sovrastante briglia (3000 metri quadri inquinati), località Carbonara e Carbonara uliveto (11500 metri quadri inquinati), Fondovalle Fiume Oliva nel Comune di Aiello Calabro e località Giani. A ridosso della briglia del fiume, alla cui ristrutturazione lavorò la ditta di Coccimiglio, le forze di Polizia intervenute nelle indagini hanno attestato, oltre alla fuoriuscita di materiale oleoso iridiscente, la presenza di fanghi verde fosforescente e di un forte odore di idrocarburi.

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La scoperta più inquietante riguarda una sorta di sarcofago in cemento. Un gigantesco cubo trovato in località Foresta a dieci metri di profondità nell’area interessata dai lavori dell’azienda. All’interno del cubo furono trovati rifiuti contenenti altissime concentrazioni di mercurio. Una sostanza che come evidenziato nella perizia della dottoressa De Rosa “si trasforma in un composto particolarmente nocivo che si concentra poi nelle derrate alimentari, particolarmente nei pesci”. Il sarcofago, perforato per gli accertamenti in fase di indagine, non è mai stato rimosso. Attraverso l’ausilio di magnetometri, tomografi, elettrotomografi, carotaggi, sorvoli aerei, rader, analisi chimiche e radiometriche è stata rilevata l’altissima presenza, oltre ai limiti consentiti dalla legge per la tutela dell’incolumità pubblica di: idrocarburi pesanti, antimonio, cobalto, cromo, cadmio, nickel, rame, zinco, mercurio, solfati, nitrati, manganese, ferro, tallio, arsenico, cloroformio, arsenico totale, selenio, piombo, vanadio, stagno, berillio, toluene, clorometano, diclorometano, tetraclorometano, carbonio tetracloruro, cesio 137.

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Sostanze estremamente tossiche, alcune delle quali cancerogene per l’uomo, bioaccumulabili per tutti i comparti ambientali: acqua, aria, terreni, sedimenti e tessuti. Non è ancora dato sapere chi abbia contribuito a creare una bomba ecologica di tali dimensioni sul Tirreno cosentino. Resta però un preoccupante dato di fatto emerso dalla sentenza, la presenza nell’area di: “un consistente quantitativo di rifiuti senza dubbio pericolosi per la salute degli esseri viventi che hanno prodotto e che continuano probabilmente ancora oggi a produrre conseguenze altamente e irreversibilmente dannose per cose, persone, animali e per l’ambiente circostante in senso lato”.

 

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