Dal 2002 al 2017, dalla sentenza Franzese alle Sezioni Unite, quindici anni di esegesi giurisprudenziale e dottrinaria in tema di colpa medica.
COSENZA – Da circa quindici anni si discute della questione controversa della responsabilità medica che, nel tempo, ha subito evidenti cambiamenti a causa di un chiaro mutamento normativo e di interpretazioni che, a seconda delle visioni prospettiche, appare più o meno favorevole nei confronti degli esercenti la professione medica. E’ del 21 dicembre 2017 l’ultimo e decisivo affondo della Corte di Cassazione a Sezioni Unite in materia che, interpellata dagli stessi giudici di legittimità della sezione semplice penale, ha finalmente chiarito ogni dubbio interpretativo spiegando – nella “informazione provvisoria” n.21 del 21.12.2017 a firma del Primo Presidente Giovanni Canzio (che fu già giudice relatore della famosa sentenza Franzese del 10.07.2002 n.30328 pronunciata sempre a Sezioni Unite ndr) – la reale forma della L.24/2017. Ne abbiamo riparlato con l’Avvocato Massimiliano Coppa (in foto), avvocato penalista che da molti anni si occupa di colpa medica in ambito civile e penale ed è docente della stessa materia presso l’Università “Sapienza” di Roma con il quale avevamo già affrontato il tema in data 28.06.2017, dopo l’entrata in vigore della nuova Legge Gelli – Bianco.
All’esito del chiarimento offerto dalle Sezioni Unite della Cassazione come si colloca la professione del medico nel panorama civile, penale ed assicurativo ?
Il chiaro mutamento del quadro normativo per l’effetto dell’introduzione dell’art.590 sexies della L.8.3.2017 n.24, ha prestato il fianco a molte interpretazioni, soprattutto in riferimento al parametro legislativo abrogato della precedente legge Balduzzi che, all’art.3, esentava da responsabilità l’esercente la professione sanitaria che si fosse attenuto al rispetto delle linee guida e delle buone prassi accreditate dalla comunità scientifica quand’anche fosse riscontrabile una colpa lieve. La scelta di politica criminale del Legislatore di rinunciare alla pena nei confronti del medico in questi termini era riconducibile ad una evidente riduzione degli spazi per la sua possibile responsabilità penale, lasciando completamente integra la responsabilità civile, oltre che per restituire al medico quella serenità operativa volta a prevenire il fenomeno della medicina difensiva, anche al fine di scongiurare il ritorno al precedente iniziale quadro normativo che contemplava, come già si è avuto modo di chiarire nella precedente conversazione del 28 giugno 2017, una repressione delle condotte colpose decisamente a maglie larghe secondo l’art. 2236 cod. civ.
L’avvocato Massimiliano Coppa, avvocato penalista
Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno ora affrontato il tema della “ipervalorizzazione” delle linee guida da considerarsi non come “norme tariffarie” ma come “direttive generali” così operando – comunque – una attenta valutazione circa la rispondenza delle raccomandazioni applicate al caso concreto. In verità la graduabilità della colpa riferita all’imperizia non è scritta da nessuna parte nella nuova norma, creando così non pochi problemi interpretativi avuto riguardo alla negligenza ed all’imprudenza che, per “costumi giuridici” della nostra società, non possono certo essere ricomprese automaticamente all’interno del concetto di imperizia, conferendo – incautamente a quest’ultimo – un carattere inidoneo a poterle contenere.
Perché il contrasto interpretativo tra le varie sezioni della Corte di Cassazione è giunto fino alle Sezioni Unite, in presenza di una normativa nuova di zecca?
All’indomani dell’entrata in vigore della nuova legge Gelli – Bianco – per la quale è opportuno sottolineare l’introduzione del diritto alla sicurezza delle cure come parte integrante del diritto costituzionale alla salute – due sono le pronunce della Corte di Cassazione che hanno generato il contrasto interpretativo ed a cui le Sezioni Unite della Cassazione hanno dato risposta: La prima sentenza (Cass. pen., Sez.IV 20 aprile 2017 n. 28187) considerava la Legge Gelli meno favorevole per gli esercenti le professioni sanitarie, mentre – invece – la seconda pronuncia (Cass. pen., 19 ottobre 2017 n. 5007) considerava la nuova normativa più favorevole per l’esercente la professione sanitaria. Una molto acuta osservazione in proposito viene rilevata nella valutazione sottoposta alle Sezioni Unite a seguito del contrasto e merita di essere segnalata in riferimento ad una ipotetica disparità di trattamento con la disciplina della colpa rispetto alle altre professioni, considerato che – si è detto che – i rischi che si corrono dall’esercente la professione sanitaria sarebbero di natura più elevata delle altre posizioni. In verità questa non pare essere una strada percorribile perché trattasi di un argomento di approfondimento nella valutazione dettata dalle Sezioni Unite, avuto riguardo dei ben più alti rischi connessi a tutte le altre professioni come ad esempio l’ingegneria civile.
Dopo l’approvazione della nuova legge Gelli – Bianco vi era stata una valutazione e di che tipo sulla condotta dell’esercente la professione sanitaria?
Premesso che ancora risultano non definiti i decreti attuativi – anzi pare sia un unico decreto attuativo della nuova norma, come preannunciato da Federico Gelli entro gennaio pur essendo trascorsi sei mesi dall’approvazione della legge – occorre segnalare anche un evidente ed ulteriore orientamento successivo alle due sentenze sopra citate – che precede di poco nel tempo l’informazione provvisoria delle Sezioni Unite – E di vero, 8 novembre scorso la Quarta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione aveva già posto l’attenzione sull’annosa questione della omessa diagnosi di patologia oncologica che, con una fatica interpretativa omogenea, stabilì che “…in tema di colpa professionale medica, l’errore diagnostico si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia non si riesca ad inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si advenga ad un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli ed accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi…”.
Il caso riguardava una paziente a cui era stata diagnosticata una ernia iatale e, nonostante gli esami clinici, perdeva la vita in pochi mesi per una grave patologia oncologica. Già in questa pronuncia si è avuto modo di osservare che per la Corte sussiste comunque la responsabilità del medico quando, a fronte del quadro sintomatico lamentato, la diagnosi era da considerare errata perché non venivano opportunamente disposti idonei accertamenti che, qualora eseguiti tempestivamente, avrebbero rilevato con sensibile anticipo la natura della patologia da cui la paziente era realmente affetta consentendole di ricorrere a protocolli terapeutici in grado di procurare la guarigione o anche solo di incrementare consistentemente le sue speranze di vita.
In verità possiamo dire che una previsione di giusta applicazione della nuova legge Gelli-Bianco nelle precedenti sentenze la Corte di Cassazione l’aveva già data prima della informazione delle Sezioni Unite?
La novità, in questa ultima sentenza della Quarta Sezione Penale sta proprio nella attenta valutazione dei giudici di legittimità di valutare come penalmente rilevante – in un caso come tanti di errore diagnostico in caso di grave patologia oncologica – la condotta di un sanitario accusato di omicidio colposo anche solo in riferimento all’omesso incremento per la paziente delle sue speranze di vita. Questa valutazione operata dalla Corte di legittimità è certamente destinata ad avere un’inferenza importante anche in sede di civile, considerato che – dalla lettura costituzionalmente orientata del testo della sentenza e della nuova norma che prevede come novità assoluta l’introduzione del diritto alla sicurezza delle cure come parte integrante del diritto costituzionale alla salute – pare che il medico sia quindi obbligato a mettere in atto tutti i protocolli diagnostici necessari e doverosi, anche davanti al solo sospetto di una patologia diversa da quella diagnosticata, ponendo – peraltro – una grave ipoteca sul concetto – troppo frettolosamente utilizzato in sede civile – della perdita di chances come parametro dosatore della vita di un individuo.
A seguito di questa ulteriore e successiva diversa visione prospettica operata nel tempo dalla Corte di Cassazione oltre che dal Giudice delle leggi in materia, si è giunti al definitivo chiarimento – operato delle Sezioni Unite Penali – dei parametri che governano la materia della colpa medica alla luce della nuova legge secondo seguente principio di diritto: L’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica:
- a) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza;
- b) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia: 1) nell’ipotesi di errore rimproverabile nell’esecuzione dell’atto medico quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o, in mancanza, dalle buone pratiche clinico-assistenziali; 2) nell’ipotesi di errore rimproverabile nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche che non risultino adeguate alla specificità del caso concreto, fermo restando l’obbligo del medico di disapplicarle quando la specificità del caso renda necessario lo scostamento da esse;
- c) se l’evento si è verificato per colpa (soltanto “grave”) da imperizia nell’ipotesi di errore rimproverabile nell’esecuzione, quando il medico, in detta fase, abbia comunque scelto e rispettato le linee-guida o, in mancanza, le buone pratiche che risultano adeguate o adattate al caso concreto, tenuto conto altresì del grado di rischio da gestire e delle specifiche difficoltà tecniche dell’atto medico.
