Dalle indagini che hanno portato ieri al fermo di 116 persone emergono particolari socialmente disdicevoli.
REGGIO CALABRIA – Le intercettazioni captate e il materiale investigativo che ha portato ieri all’operazione “Mandamento Jonico” fanno luce sulla capacità delle cosche di influenzare l’intera società. Dai politici agli adolescenti. L’appoggio elettorale della ‘ndrangheta di Roghudi si sarebbe spinto sino a decidere chi sarebbe entrato nel Parlamento Europeo. Secondo gli inquirenti durante le elezioni europee del giugno 2009 l’ex senatore cosentino nonché ex sindaco di Acri Gino Trematerra dell’Udc sarebbe stato eletto grazie all’intercessione di Antonio Caridi, senatore finito in carcere nell’ambito del procedimento Gotha. A parlare del ruolo dei clan del Mandamento Jonico durante le elezioni sono Giuseppe Romeo e Pietro Bonaventura Zavettieri nelle conversazioni intercettate che hanno portato all’arresto di 116 persone tra capi e affiliati della ‘ndrangheta reggina. I due sono ritenuti assai vicini alla famiglia Morabito di Africo. Dalle indagini sarebbe emerso che i voti del Mandamento Jonico sono stati nel 2009 dirottati su richiesta di Carid a favore del candidato al Parlamento Europeo nella circoscrizione sud Italia per il partito UDC: Gino Trematerra, padre dell’ex assessore regionale Michele Trematerra che si trova oggi a processo con l’accusa di aver barattato con la cosca Lanzino di Cosenza voti in cambio di posti di lavoro e appalti.
Zavettieri a Romeo: “Sono legati a Caridi di Reggio, capito? Questi (la famiglia Maviglia legata ai Pelle Gambazza di San Luca ndr) erano sempre con questo Caridi di … di Reggio, allora lo avevano portato tutti questi Maviglia, questi cosi di Reggio … quelli di Condera … pure questi di ‘Ntoni Gamba, avevano coinvolto a tutti, questi. Per questo è venuto Ciccione (Maviglia ndr). Certo, il candidato è Trematerra”,
Romeo: “Però gli fanno una cortesia a Caridi praticamente”.
Zavettieri: “Esatto! Caridi era … a Reggio … Consigliere Comunale … ora non lo so se è Consigliere Regionale … perché non ho seguito la sua strada … ma poi allora ha coinvolto tutta questa ionica, questi Maviglia, questi Pelle, tutti, sto Caridi … all’inizio, e questo … questi Maviglia di Reggio sono rimasti sempre vicini … li conoscono tutti là”.
Zavettieri: “Se uno segue le persone giuste … le cose giuste. E per questo è oggi qua… compare Peppe, qua che si… che si fa, se stava qua… se uno, non segue le cose giuste? Eh … non ci vuole niente che si rovina … se uno segue le persone giuste … le cose giuste, qualche cosa vede!”.
Romeo: “Sì! Ma qua, compare Pietro, è terra bruciata! Come… come… come… voglio dire… non c’è nemmeno… nemmeno… neanche, nemmeno una mezza industria qua! Un piccolo imprenditore … eh … la zona di piccoli … solo piccoli imprenditori, non c’è una grande … non è una risorsa sta terra qua!”.
Zavettieri: “Lasciateli stare che sono… incompr… ora qua vogliamo prendere … incompr … questo che è grosso, Bruno … incompr. … dice … ‘eh, a questo non lo chiamare … pensavamo che lo sapevi…’ e sono venuti questi di Reggio … però gli ho detto io ‘Oh! Ma che volete fare? … questi di Reggio li controlliamo noi’ in sostanza va! Sono amici, eh abbiamo rapporti, cose … con questi che fanno sta politica … e questo Emilio glieli ha portati a questo, hai capito?”.
QUINDICENNE ASPIRANTE MAFIOSO SCRIVE AL BOSS
Una letterina per Antonio Cataldo. Redatta da un ragazzino e data alla figlia del boss che frequenta la stessa scuola con l’incarico di recapitarla al padre. La giovane inizia a leggerla in auto finché la mamma non la zittisce. Dalle intercettazioni captate emerge parte del testo della missiva: “Io sottoscritto (omissis= ) vorrei mettermi a disposizione per voi e la vostra famiglia”. Poche parole contenute nel decreto di fermo vergato dalla Dda che testimonia “l’ammirazione di cui godeva il capo cosca Antonio Cataldo a Locri, come se il suo trascorso criminale fosse un esempio da emulare. Gli adolescenti locali lo considerano un modello a cui ispirarsi per conseguire rispetto e potere, percorrendo la strada dell’illegalità. La vicenda è talmente paradossale che permette di comprendere ancor meglio la portata del fenomeno mafioso a Locri. Di norma infatti, i ragazzi di quell’età si rispecchiano in tutt’altra tipologia di personaggi, invece nella locride è il boss a costituire il modello di riferimento. È evidente che la cultura mafiosa è talmente radicata in quel tessuto sociale che coinvolge finanche l’Istituzione Scolastica che, in quanto tale, dovrebbe essere avulsa da tali contaminazioni. Ed invece, nel caso di specie, è stata proprio la Scuola il vettore attraverso cui la richiesta di “affiliazione” all’organizzazione mafiosa da parte di un quindicenne è stata veicolata al capo della cosca Cataldo”. Il fatto ovviamente non ha alcun tipo di rilevanza penale per i soggetti coinvolti.
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