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Riduzione in schiavitù: rom condannato a sei anni
COSENZA – Quell’infanzia negata. E’ il caso di una ragazzina di etnia rom, costretta dai familiari a mendicare per strada, chiedendo l’elemosina lungo la centralissima corso Mazzini. No al mestiere di mendicante. V. L. padre della ragazzina di 10 anni, per quell’utilizzo di sua figlia nell’accattonaggio, è stato condannato dalla Cassazione a sei anni di reclusione.
L’uomo, aveva presentato ricorso contro quella sentenza di condanna, rimediata in Appello a sei anni di reclusione. Nel corso delle indagini, la magistratura e gli inquirenti, accertarono che, se la figlia di V. L, non tornava a casa con un congruo bottino, vieniva minacciata e picchiata. Nel confermare la sentenza d’Appello, gli ermellini della Cassazione hanno confermato che «l’accattonaggio, soprattutto se fatto praticare a minorenni, rappresenta sempre una forma di riduzione in schiavitù anche se il chiedere l’elemosina viene praticato da certe etnie per tradizione». In primo grado gli era stata inflitta una condanna a 8 anni e sei mesi di reclusione con interdizione perpetua dai pubblici uffici), ha chiesto una condanna più lieve per il reato di maltrattamenti in famiglia, sulla base del fatto che nell’etnia rom «l’accattonaggio assume il valore di un vero e proprio sistema di vita». La Quinta sezione penale – sentenza 37638 – ha dichiarato inammissibile il ricorso del padre rom e ha ricordato che «la giurisprudenza in materia ha escluso ogni rilevanza scriminante alle tradizioni culturali favorevoli all’accattonaggio”. In particolare, la Suprema Corte ha fatto notare che «commette il reato di riduzione in schiavitù colui che mantiene lo stato di soggezione continuativa del soggetto ridotto in schiavitù o in condizione analoga, senza che la sua nozione culturale o di costume escluda l’elemento psicologico del reato». Più in generale, la Cassazione ricorda alle etnie zingare che «le consuetudini di usare i bambini nell’accattonaggio non sono invocabili come causa di giustificazione dell’esercizio del diritto, atteso che la consuetudine puo’ avere efficacia scriminante solo in quanto sia stata richiamata da una legge».
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