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La vecchiaia e il mito dell’eterna giovinezza

Cultura & Spettacolo

La vecchiaia e il mito dell’eterna giovinezza

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Nel passaggio alla fase della vecchiaia accade un po’ come con la crescita dei nostri figli. Se per noi che li vediamo di continuo, i loro cambiamenti, soprattutto quelli fisici, risultano impercettibili, così non è per chi li vede di tanto in tanto, a distanza di tempo. Questi, infatti, ne apprezzano ogni volta un totale mutamento, quasi una metamorfosi.

 

La stessa cosa capita per la nostra trasformazione legata all’invecchiamento. Confrontandoci ogni giorno con il nostro aspetto, i cambiamenti fisici che in esso si verificano, per fortuna, non ci traumatizzano, come invece potrebbe avvenire se ci scoprissimo all’improvviso invecchiati, come se per assurdo non ci fossimo visti allo specchio per molti anni.

Ciononostante, l’idea che il nostro corpo, e ancor più il nostro viso, possa subire delle profonde modificazioni, con il passare del tempo, ci incute una sorta di timore e di sgomento che, in casi estremi, si trasforma in ossessione. E non si tratta di essere uomo o donna, la sindrome dell’idea dell’invecchiamento colpisce indifferentemente i due sessi, sebbene vi siano persone che la patiscano maggiormente rispetto ad altri. Essa fa il suo esordio, in maniera subdola, durante il corso della quinta e l’inizio della sesta decade della nostra vita, prima dello spartiacque dalla vecchiaia. Capita allora di avvertire nelle persone, quando compiono gli anni, un senso di sconforto e di sentir loro dire di non voler festeggiare il compleanno, perché il compimento degli anni non può essere ritenuto degno di un festeggiamento.

Questa sensazione scaturisce, a mio avviso, dal mito dell’eterna giovinezza che spinge verso un altro mito: quello della giovinezza surrogata. Quest’ultimo prevede come soluzione quella di indossare una maschera per nascondere il nostro volto, ma che purtroppo non nasconde, né risolve le nostre insicurezze. In questi casi, forse, il “lifting” andrebbe fatto piuttosto alle nostre idee, alle nostre false convinzioni. Quelle che traggono origine, nel mondo dell’apparenza che prevale su quello dell’essere, dal bombardamento della pubblicità che ci propina modelli di giovinezza, di bellezza, di perfezione corporea, che sembrano schiuderci le porte ad esperienze e ad una sessualità più appaganti.

025Tale mito nasce dal fatto di considerare quella fase della vita in cui ci sentiamo più forti sia dal punto di vista delle energie sia da quello economico, come quella più degna di essere vissuta, relegando tutte le fasi successive ad una totale insignificanza. Nasce dall’idea che la nostra società si è fatta della vecchiaia, quella dell’inutilità e dell’attesa della morte. E’ comprensibile che il passare degli anni possa incutere timore, preoccupazioni, ma credo che il trascorrere degli anni vada a definire il carattere di una persona, a dargli più forza, o più esattamente a completarlo.

Invecchiare, come dice Hillman, in un suo romanzo, “non è un mero processo fisiologico: è una forma d’arte e solo coltivandola potremmo fare della nostra vecchiaia una struttura estetica possente e memorabile”.

Solo interrompendo questo binomio vecchiaia-morte ed introducendone un altro, quello di vecchiaia-svelamento del carattere, possiamo capire chi siamo davvero. Invecchiando, come dice sempre Hillman, io rivelo il mio carattere, quello che “ha plasmato la mia faccia, cioè le mie amicizie, gli amori che ho incontrato e che ho sognato, i figli che ho generato”. Del resto, aver raggiunto una certa età presuppone di aver avuto la possibilità di provare, di sentire e di nutrire sentimenti belli e brutti, che hanno contribuito a farci diventare gli Uomini che siamo.

Sarebbe bene, inoltre, considerare che raggiungere le varie tappe, le varie fasi della vita, non è purtroppo una cosa da dare per scontata, perché non tutti hanno avuto e non tutti avranno la fortuna di poterne beneficiare (motivo per cui gli anziani non andrebbero visti dai giovani in modo compassionevole, ma con un pizzico di benevola invidia).

Non sarebbe giusto dunque, non apprezzare e valutare ogni traguardo di età come un dono, una nuova possibilità, che ci viene concessa, tenendo presente che qualsiasi bilancio di vita, per definirlo positivo deve avvenire necessariamente attraverso il passare degli anni. Infatti, quante persone, che in un periodo abbastanza precoce della loro esistenza, erano state considerate fortunate, conoscendone poi la fine che era stata loro riservata, non sono poi state più ritenute tali.

Come ricorda Sofocle, nessuno può dirsi davvero felice o fortunato prima di sapere come concluderà la sua vita. La felicità e la fortuna di un uomo si possono affermare solo dopo la sua morte, valutando anche le modalità di come egli ha lasciato l’esistenza terrena. Festeggiare, dunque, un compleanno dovrebbe significare essere riconoscenti e quindi ringraziare Dio, o il Caso, la Fortuna, la Natura, perché ci sta concedendo il privilegio di avere quegli anni in più che molti non hanno avuto e che ci permetteranno di vedere quello che siamo davvero, al di là di quello che tentiamo di apparire, senza rischiare di morire sconosciuti agli altri e soprattutto a noi stessi.

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