Segnala una notizia

Hai assistito a un fatto rilevante?
Inviaci il tuo contributo.

Richiedi info
Contattaci

“Gente in Aspromonte” di Corrado Alvaro

Archivio Storico News

“Gente in Aspromonte” di Corrado Alvaro

Pubblicato

il

Unanimemente riconosciuto come il capolavoro di Corrado Alvaro, Gente in Aspromonte è un romanzo breve che narra la storia, ambientata nei primi anni del Novecento, della dura vita dei pastori d’Aspromonte subito descritta, fin dall’incipit del romanzo, con una cadenza profonda, sentita e, nel contempo, distaccata perché si tratta di una verità ineluttabile.
«Non è bella la vita dei pastori in Aspromonte, d’inverno, quando

i torbidi torrenti corrono al mare,
e la terra sembra navigare sulle acque…».L’inizio della storia è una evocazione della vita in Aspromonte, che è un tutt’uno con il paesaggio severo, solenne, con il respiro pesante delle mandrie, con le capanne «di frasche e di fango» nelle quali «si entrava carponi», abitate dai pastori nella stagione invernale, con i pellegrinaggi al Santuario della Madonna di Polsi e le manifestazioni di pietà popolare, con i canti che si odono, «intramezzati dal rumore dell’acqua nei crepacci», con il suono della zampogna… Segue poi l’avvio della vicenda con modi narrativi più spezzati, più bruschi, ma con lo stesso ritmo delle immagini.
Protagonista è la famiglia del pastore Argirò, che sogna la possibilità di uscire dalle terribili condizioni di vita, dalla miseria secolare, da quella subordinazione ai proprietari, ai padroni delle terre e delle mandrie, di tipo ancora quasi feudale, e di portare almeno uno dei figli sino alla dignità degli studi. Sperando di potercela fare, Argirò sottopone sé e i suoi ai sacrifici e alle fatiche più aspre. Ma una serie di disavventure, dalla perdita dei buoi che aveva avuto in custodia dal padrone Filippo Mezzatesta, che precipitano in un burrone, all’incendio doloso della sua stalla, lo costringono a rinunciare a questo arduo quanto legittimo progetto. Il figlio, Antonello, matura dentro di sé, e sulla sua pelle, la coscienza della posizione subalterna della sua famiglia e della classe sociale a cui appartiene, e quindi delle profonde ingiustizie sociali che si rinnovano come in un ciclo perpetuo, e diviene protagonista di un atto di ribellione e di disperazione assieme: si darà alla macchia, e dopo aver massacrate le mandrie del padrone e distribuito la carne ai compaesani, butterà il fucile e si consegnerà ai carabinieri. «Finalmente», disse, «potrò parlare con la giustizia, che ci è voluto per poterla incontrare, e dirle il fatto mio!»
Quella dei pastori «è una vita alla quale occorre essere iniziati per capirla, esserci nati per amarla, tanto è piena come la contrada, di pietre e di spine». Il mondo pastorale viene così evocato con un originale taglio narrativo: lirica trasfigurazione del ricordo di chi vive altrove, ma è nato in quella terra e quindi può capirla e amarla, che però non esclude una precisa attenzione ai problemi economici e sociali. Infatti la rievocazione del mondo calabrese, pur se filtrata dalla memoria e da quella visione quasi idilliaca dei luoghi natii che in Alvaro si avverte, è una denuncia della vita miserabile dei pastori, delle ingiustizie profonde, della spietatezza dei rapporti sociali, della mentalità chiusa in un’ancestrale superstizione e in una secolare arretratezza culturale e sociale
Ma quel mondo possedeva anche una sua intrinseca bellezza e dei valori profondamente radicati, che poi si identificano, agli occhi di Alvaro, coi ricordi della sua infanzia e con quel costante sentimento di nostalgia, che sempre provò per la sua terra. Questo mondo, severamente giudicato da Alvaro, ma nel contempo, amorosamente rivissuto, era veramente così, ma non bisogna piangere su di esso; occorre invece custodirne gelosamente la memoria.
Con Gente in Aspromonte, Corrado Alvaro non solo inaugurava un tema, quello calabrese, che poi risulterà costante nella sua produzione, ma rinnovava la tradizione della narrativa a ispirazione regionale e meridionale, la tradizione di Verga, Capuana, De Roberto, e Luigi Pirandello, ma con una differenza sostanziale: alla società meridionale vista, da questi autori, come qualcosa di immutabile, senza speranza, soggetta ad una fatalità di tristezza, sofferenza, subalternità, contro la quale nulla poteva, nemmeno la volontà e la forza degli uomini e della storia, Alvaro contrappone un mondo arcaico fatto di ignoranza, superstizione, povertà e tragico fatalismo, che però non è immutabile, ma è già sgretolato e in parte sommerso, un mondo, anche quello, in trasformazione, un mondo quindi, quello arcaico, che può essere giudicato solo con gli occhi della memoria. Infatti, anche in Gente in Aspromonte, così come negli articoli giornalistici raccolti nel volume Un treno nel Sud, Alvaro dimostra di saper cogliere tutte le novità e i segni di trasformazione che quel mondo stava vivendo. Segni che erano visibili nell’arrivo di strade, nell’estendersi dell’istruzione, nell’emigrazione che aprì nuovi orizzonti a tanti calabresi e che certamente migliorò le condizioni economiche della regione: «Ora la strada cui lavorano da vent’anni sta per bruciare all’arrivo con l’ultima mina… i buoi portano dall’alta montagna i tronchi d’albero legati a una fune trascinandoli in terra senza carro… Ma per poco ancora. Come a contatto dell’aria le antiche mummie si polverizzano, si polverizzò così questa vita. È una civiltà che scompare, e su di essa non c’è da piangere, ma bisogna trarre, chi ci è nato, il maggior numero di memorie».
Gente in Aspromonte è seguita da dodici racconti minori: La pigiatrice d’uva, Il rubino, La zingara, Coronata, Teresita, Romantica, La signora Flavia, Innocenza, Vocesana e Primante, Temporale d’autunno, Cata dorme, Ventiquattr’ore.

Pubblicità
Pubblicità .

Categorie

Social

quicosenza

GRATIS
VISUALIZZA