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“Cosa mia”: pene esemplari per omicidi, estorsioni e “tasse ambientali”
PALMI (RC) – Donne di mafia.
Donne protagoniste. Non e’ certo questo il caso di vantare le donne al potere: la Corte d’assise di Palmi, nell’ambito della sentenza del processo “Cosa mia”, ha infatti riconosciuto un ruolo di primo piano anche alle donne dei clan coinvolti nell’operazione della Distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Praticamente un boss, Teresa Gallico, che subisce una condanna a 22 anni e nove mesi; ergastolo a Lucia Giuseppe Morgante per coinvolgimento in omicidio; 12 anni a Mariangela Gaglioti; 9 anni a Carmela Carbone; 14 anni e tre mesi a Maria Carmela Surace; 7 anni a Elena e Fortunata Bruzzise, 2 anni a Maria Ditto. Nel processo gli unici ad essere assolti sono stati gli imputati Antonio Cilona, Vincenzo Galimi, Rocco Salvatore Gaglioti e Vincenzo Gramuglia. Alla lettura della sentenza del processo “Cosa mia” nell’aula bunker del Tribunale di Palmi, lo Stato vanta numerosi uomini presenti: il procuratore capo Raffaele Cafiero De Raho insieme al suo aggiunto Michele Prestipino, i sostituti procuratori Roberto Di Palma e Giovanni Musaro’ che hanno coordinato le indagini e gestito il processo, vari collaboratori della procura e delle forze dell’ordine. Soddisfazione per lo Stato che assesta un duro colpo contro la ‘ndrangheta e, nello specifico, contro le cosche Gallico e Bruzzise: solo 6 gli imputati assolti su un totale di 76. Tra i condannati figurano anche alcuni imprenditori al servizio dei boss nella gestione di subappalti per i lavori di ammodernamento dell’A3 ed altri condannati per favoreggiamento per non aver denunciato le estorsioni da parte degli uomini del clan Gallico di Palmi. Il processo “Cosa mia”, nasce da una lunga e complessa inchiesta della Distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Un’inchiesta divisa in tre tronconi di indagine, due dei quali confluiti in un unico processo. I reati contestati a vario titolo agli imputati sono l’associazione per delinquere di stampo mafioso, una serie di omicidi che erano rimasti irrisolti e compiuti nella faida di Palmi, combattuta tra la fine degli anni ’70 e l’inizio dei ’90, e la maxiestorsione che i clan avrebbero imposto alle ditte che lavoravano per il rifacimento dell’A3, il famoso 3% ribattezzato “tassa ambientale”. Per la difficile divisione delle estorsioni, secondo la Dda reggina, sarebbe ripartito lo scontro armato tra i clan Gallico, e le famiglie alleate, contro i Bruzzise. Delitti che sono stati contestati anche in questo processo. La sentenza letta quest’oggi dalla Presidente della Corte d’assise Silvia Capone arriva dopo una settimana di camera di consiglio e si conclude con ben cinque ergastoli inflitti ai boss Domenico e Giuseppe Gallico; a Lucia Giuseppa e Salvatore Morgante, e Carmine Demetrio Santaiti; per quanto riguarda l’altro clan, Carmelo e Giuseppe Bruzzise sono stati condannati rispettivamente a 20 e 25 anni di carcere.
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