I mediterranei di Corrado Alvaro a 60 anni dalla morte. Convegno a Cosenza il 18 ottobre prossimo Biblioteca Nazionale

 

A 60 anni dalla morte di Alvaro, sono state organizzate una mostra ed un convegno sull’artista e il Mediterraneo. 

 

COSENZA – Un evento realizzato dagli studiosi e dai ricercatori della biblioteca, diretta da Elvira Graziani. Relazione di Pierfranco Bruni; introduce Elvira Graziani.

ALVARO E IL MEDITERRANEO NELLE CULTURE TRA OCCIDENTE ED ORIENTE.

Gli Orienti tra Elias Canetti, Edmondo De Amicis e Corrado Alvaro. Un Oriente che è vento di Mediterraneo che ha saputo accogliere gli Adriatici del Mondo. La Turchia e la Grecia sono l’intreccio degli Orienti con i Mediterranei tra Occidente e, appunto, gli Orienti. Il Mediterraneo come un luogo dell’esistenza. Nella grecità mai perduta che diventa identità. Ci sono tracce indelebili che segnano la vita e il tempo in un viaggio, dentro la metafora del labirinto, che è sempre più indefinibile.

La Turchia visitata nel 1931, e sulla quale ha scritto pagine emblematiche (da “Viaggio in Turchia”, 1932, Treves, alle sue pagine di “Diario” o alle sue “Novelle” o agli Appunti vari), è l’Abitato in cui gli Orienti si incontrano. L’Anatolia e il mondo Ottomano. Il Cielo dei Sufi e la danza in un cerchio completamente magico. Qui Alvaro usa lo sguardo e il sentire e trasforma le immagini in immaginario, in fantasia, in maschera, in specchio. Forte della lezione pirandelliana (intervistato già su “L’Italia Letteraria”con stampa il 14 aprile del 1929) il doppio senso dello sguardo diventa il percepire ciò che è invisibile.

Alvaro resta un punto centrale intorno al quale ruotano dimensioni della letteratura universale. Così come De Amicis con la sua Costantinopoli. La Turchia è un viaggiare tra le isole del pensiero e della fantasia all’interno di un contesto geografico vero.

Questo scritto sulla Turchia non è assolutamente da considerarsi minore. È uno degli scritti forti sulla Turchia. Prima dello scritto di Alvaro, scritto da un autore italiano significativo, c’è soltanto quello di Edmondo De Amicis (1846 – 1908) dal titolo “Costantinopoli” risalente al 1875.

Ankara e Costantinopoli, l’Anatolia e la civiltà Ottomana di Alvaro, la Costantinopoli – Istanbul di De Amicis sono, a rileggerli oggi, un intreccio che permettono di comprendere una realtà islamica con molta attenzione e consapevolezza sia storica che antropologica.

Si legge: “Mi viene in mente che quel lungo errare non fosse che correre dietro illusioni di patria, poiché il Mediterraneo, fino alla costa d’Asia, è noto come un paese; anche i nomi di luoghi, che furono dati in Italia e in Grecia uguali, dovettero corrispondere a somiglianze di paesaggio; e chi si trova qui italiano e meridionale ritrova aspetti che li dormivano nella memoria e nella fantasia…Quattro e cinquemila anni di rapporti, di mescolamenti, di guerre, hanno formato nel Mediterraneo un panorama di regioni più che di nazioni, e l’uomo è chiaro, e si riconoscono i pensieri e le reazioni d’ognuno come in un vecchio libro…Una vecchia legge religiosa divenuta natura fa del turco un uomo che raramente si appropria di qualche cosa per furto; ma per furberia, calcolo, sottigliezza, prontezza, sì…È soltanto di ieri nella sua lingua un neologismo che significa patria, per cui non ha mai avuto nome, mentre disponeva di almeno cento nomi per significare cane e cavallo…”.

Elias Canetti nel suo splendido “Le voci di Marrakech” scrisse: “Gli altri, la gente che ha sempre vissuto là e che non capivo, erano per me come me stesso”.

Quella Tuchia nel respiro dell’Anatolia che ha il suono e la danza dei Sufi, il vento della Cappadocia, gli occhi delle donne e “l’emozione che provai” (ha scritto De Amicis entrando in Costantinopoli) è una terra indimenticabile.

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