A tavola con il nemico. Non è il titolo di un appassionante serial televisivo di genere thriller, è la storia di Marta, 32enne cosentina, prigioniera per un paio d’anni di uno spietato sequestratore: l’anoressia.
I segni delle catene della prigionia sono ancora ben evidenti sul corpo della ragazza, riuscita a sfuggire al suo sequestratore dopo un lungo periodo di psicoterapia. Marta, occhi verdi e grandi, coperti da occhiali scuri che le fasciano il viso, quasi a voler nascondere quel dolore non ancora cancellato, ha il fisico longilineo.
Con profonda dignità, estremo coraggio e tanta voglia di liberarsi di un peso, la 32enne si racconta e racconta, senza mostrarsi in volto, al taccuino del cronista la sua difficile esperienza con l’anoressia. “Dobbiamo prendere consapevolezza che, purtroppo, l’anoressia non è solo una malattia, da cui per fortuna, si può guarire ma, è soprattutto, un disagio psichico. Cadere nella sua trappola è facile, soprattutto se si è fragili. Ho scoperto l’anoressia all’incirca due anni e mezzo fa. Mi guardavo allo specchio e mi sentivo a disagio con me stessa. Quello stesso disagio che è diventato il mio carceriere. Ero convinta che non piacendomi, non potevo piacere anche agli altri. Mia madre e mio padre si sono accorti subito che qualcosa dentro di me non andava. L’interruttore nevralgico del mio status era andato in corto circuito. Più di una volta i miei hanno provato a capire cosa mi tormentasse. Ma io – ricorda – non volevo parlare. Le mie risposte erano evasive e piene di rabbia, soprattutto perché mi rendevo conto di avere a che fare con un problema con me stessa. Un disagio che mi tormentava e di cui avevo paura. Avevo anche smesso non solo di sedermi a tavola ma anche di dormire. Mi sentivo vittima e carceriere di me stessa”. Marta, mentre si racconta prende il suo telefono nella borsa e mostra le foto del suo passato. “Ecco cos’ero diventata – dichiara guardando quell’immagine di se immortalata in un click – ero come suol dirsi pelle e ossa”. Le foto che parlano del suo disagio raccontano di una ragazza scavata nel viso, con gli occhi rossi, gonfi di pianto e con profonde occhiaie, segno delle sue notti insonni e della sua non alimentazione. “Non riuscivo a capire perché tutto questo stesse capitando a me, ne parlai a lungo con il mio medico di famiglia. A volte lo tempestavo di telefonate per chiedergli aiuto, quella parola che, forse più che per vergogna che per paura, non riuscivo a pronunciare davanti ai miei. Il mio medico mi disse che da questa malattia non si guariva con una semplice terapia farmacologica. Per guarire, oltre ai farmaci ci vuole non solo la consapevolezza di avere un problema ma anche la voglia di liberarsene. Ecco che allora decisi di fare il grande passo, facendomi aiutare da chi realmente poteva farlo. Quel passo l’ho fatto e oggi sono consapevole della mia forza ritrovata, ho fatto pace con il cibo e ho ripreso a guardarmi allo specchio e mi piaccio. Credere in me stessa mi ha aiutato a rafforzare anche il rapporto con gli altri, soprattutto con i miei genitori e gli amici che non mi hanno mai fatto mancare il loro affetto, la loro vicinanza e m’hanno trasmesso tanto coraggio”. Anche se questa brutta storia è passata Marta nel raccontarsi e raccontare la sua esperienza vuole lanciare un messaggio a tutti coloro che – come dice lei, forse più per vergogna che per paura – vivono o convivono con questo disagio psichico, facendosi schiacciare dal peso dell’anoressia. “Non abbiate paura di ammettere che qualcosa non vada nel corpo, nella mente e nello spirito. La capacità di accorgersi di avere un problema grande e pericoloso come l’anoressia o come le altre forme di disordine alimentare non è un punto di debolezza, anzi è l’esatto contrario: è di forza. Quella nostra forza interiore che ci spinge a vivere”. Ora Marta ha un altro sogno. Il più desiderato dalle donne: diventare mamma.