Per il primario del reparto di Pediatria dell’Ospedale di Cosenza il pm ha chiesto la condanna ad un anno di reclusione.
COSENZA – E’ attesa per lunedì prossimo la sentenza per la morte di Romano Marino. Alla sbarra il primario del reparto di Pediatria dell’Annunziata Domenico Sperlì nonché cinque medici pediatri in forze all’ospedale di Cosenza: Rosanna Camodeca, Vittoria Greco, Rosaria De Marco, Marianna Neri e Clementina Rossi. Per il primo il pm ha richiesto una pena pari ad un anno di detenzione mentre per gli altri è stata chiesta l’assoluzione. I genitori di Romano in attesa di conoscere il verdetto che emetterà il Tribunale di Cosenza ripercorrono gli ultimi giorni di vita del tredicenne cui vita è stata stroncata prematuramente da presunti errori di valutazione medica.
“Sono passati più di cinque anni dalla scomparsa di nostro figlio. Romano – racconta Cesare Marino – nel Marzo del 2010 un giorno è tornato a casa con la febbre. Dopo cinque giorni la temperatura non scendeva con nessun farmaco, dopo aver contattato diversi medici abbiamo deciso di portarlo in ospedale. Lì dopo aver fatto le analisi hanno iniziato a parlare prima di mononucleosi poi di polmonite. Fino a quel momento la malattia più grave che avesse avuto era la varicella. Dopo qualche giorno in pediatria le sue condizioni peggioravano vertiginosamente”.
“Da Domenica fino a Martedì – spiega la madre Donata Giardini di professione infermiera – lo hanno curato con nulla. Gli avevano somministrato solo un blando antibiotico e del paracetamolo. Continuavano a parlare di mononucleosi anche se è impossibile che un ragazzino in salute come lo era mio figlio potesse essere ridotto dal virus in quello stato di immunodeficienza con i leucociti, le piastrine a zero e la milza ingrossata. Parametri che avrebbero dovuto subito far pensare alla Mas (sindrome da attivazione macrofagica), la patologia dalla quale in realtà era affetto e di cui il primario Sperlì afferma di essere specialista. In più Romano aveva già avuto la mononucleosi. Il Venerdì lo hanno trasferito in Rianimazione ed un medico dell’Annunziata che conoscevo mi ha sussurrato in un orecchio ‘portalo via da qui perché non hanno capito niente’. Ci siamo subito organizzati ed in due ore eravamo pronti per portarlo al Bambin Gesù a Roma. Magicamente spunta una diagnosi, un’ora prima che salisse sull’aereo, ma il farmaco salvavita non gli è stato somministrato”.
“Quando è entrato in Pronto Soccorso Romano – continua il signor Marino – presentava già tutti i parametri per diagnosticare la Mas, in più dal midollo aspirato che gli hanno eseguito (senza chiederci il consenso) erano emersi fenomeni di emofagocitosi ovvero un dato che nove volte su dieci si lega alla presenza di Mas. Nonostante ciò hanno continuato a curarlo per altro. Poi lo hanno messo in coma farmacologico. Due ore prima del trasferimento, per tutelarsi, gli hanno eseguito (sempre senza informarci) un altro esame estremamente invasivo, la cresta iliaca, cui risultati sono arrivati quando Romano ormai era già morto. Per salvarlo potevano bastare delle punture di cortisone due volte al giorno e della ciclosporina, invece lo hanno imbottito di antibiotici ad ampio spettro e non se ne capisce ancora il motivo”.
“Una delle dottoresse – continua la madre – della Rianimazione ha detto che la prima puntura del cortisone di cui aveva bisogno era stata fatta alle 16 del 12 Marzo, ma in realtà a quell’ora mio figlio era già arrivato a Roma. Le sue condizioni erano ormai gravemente compromesse anche se in ventiquattro ore la malattia poteva essere debellata invece è morto dopo pochi giorni. A Cosenza lo hanno curato per sepsi senza alcun fondamento scientifico. Quando chiedevo spiegazioni mi rispondevano ‘signora ci lasci stare, ci sta seccando’. Il primario, dott. Sperlì che non ha inteso confrontarsi con altri professionisti e quando ci incontrava nei corridoi alzava le spalle ha detto che era infastidito dalle ingerenze dei medici di Roma a cui avevo chiesto consigli ed è arrivato finanche a dirmi ‘ho visto suo figlio e non mi sembra un ragazzino che sta male’. Invece se fosse stato curato in tempo sarebbe ancora con noi”.
In foto il primario del reparto di Pedriatia dell’Ospedale di Cosenza Domenico Sperlì